di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl
In questi giorni, fra i vari temi al centro del dibattito, è tornato, anche sull’onda degli Stati Generali della Natalità, il problema demografico. Ovvero quel combinato disposto fra crisi delle nascite ed invecchiamento della popolazione che caratterizza la società italiana. Un tasso di fecondità di circa 1,2 figli per donna ed un’alta aspettativa di vita, grazie al benessere ed ai progressi della medicina, rendono il nostro Paese uno degli Stati con età media più alta al mondo. Ora non si comprende bene, a livello di percezione collettiva, l’impatto della denatalità, dato l’alto numero di anziani che mantengono sufficientemente elevato il numero complessivo di popolazione, ma, stando alle statistiche, gli effetti si sentiranno nel giro di pochi anni, con un declino demografico a progressione geometrica, fino a sfiorare il rischio estinzione, generando problematiche di vario tipo, economiche innanzitutto, ma anche di tipo sociale e culturale. Sul tema oggi sui giornali ci sono diversi spunti interessanti, come l’intervento di Ferruccio De Bortoli sul Corriere della Sera, che afferma, ed è questo un punto di vista significativo e sul quale riflettere, che se, certamente, è necessario potenziare le politiche per favorire la natalità per invertire questa tendenza allo spopolamento, occorre, però, allo stesso modo, iniziare a fare i conti con un futuro che difficilmente subirà a breve un’inversione a U tale da consentirci di considerare superato il problema. Insomma, un sì deciso agli interventi per sostenere un maggiore numero di nascite, ad esempio puntando sull’occupazione femminile e su migliore conciliazione tra ruoli professionali e familiari, vero nocciolo della questione. Ma, considerando che neanche l’immigrazione basta a compensare il calo della popolazione, scesa di circa 2 milioni di persone rispetto a dieci anni fa, occorrono altre risposte, per evitare che la questione demografica abbia un impatto drammatico sul sistema. Innanzitutto rendendo il Paese più appetibile per i (pochi) giovani ed evitando la “fuga dei cervelli”, per mantenere una società ed un’economia innovative ed al passo coi tempi, e poi avvalendosi delle possibilità offerte dalla tecnologia per sostenere il sistema produttivo e sociale, in sintesi con la robotizzazione e l’intelligenza artificiale, nel mondo del lavoro come in quello della sanità e dell’assistenza. Una scelta possibile e forse obbligata, nel prossimo futuro, e quindi da organizzare per tempo. È, però, fondamentale, e questa è una criticità da sottolineare a livello sindacale, che ciò sia fatto mantenendo il sistema di diritti che tutelano il lavoro dipendente ed anzi, che questa rivoluzione avvenga con un nuovo patto fra capitale e lavoro, ad esempio all’insegna della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese, affinché sia socialmente vantaggiosa per tutta la comunità.