di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Sulla riforma delle riforme, ovvero il Premierato, che cambierebbe in modo significativo l’impianto politico ed istituzionale italiano, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha in mente il ricorso al referendum per rendere palese la volontà popolare nel caso non ci sia una maggioranza parlamentare dei due terzi delle Camere come richiede la Costituzione. Un’idea che già circolava da tempo, ma ora resa più concreta dall’impossibilità di trovare un terreno comune con l’opposizione, o almeno buona parte di essa, dato che sulla questione la leader del Pd, Elly Schlein, ha deciso di indire una manifestazione di piazza contro la riforma per il prossimo 2 giugno, data della festa della Repubblica. Resta però il fatto che, che si trovi o meno una quadra capace di mettere d’accordo tutti o quasi, comunque la riforma va fatta. Il sistema attuale, infatti, presenta dei disequilibri che vanno sanati, non è intoccabile, è riformabile e all’interno della stessa Costituzione sono chiariti e ben esplicitati gli strumenti per farlo. Per garantire una maggiore stabilità e governabilità e quindi permettere all’Italia di usufruire di politiche a lungo termine e non basate, invece, sulla ricerca del consenso parlamentare, proprio perché il Presidente del Consiglio e soprattutto il programma di governo, dopo la riforma, verrebbero legittimati in modo chiaro ed inequivocabile per l’intera legislatura dal mandato elettorale. Per evitare le famose “alchimie” di Palazzo, che hanno dato vita a governi tecnici o maggioranze del tutto avulse dalla volontà popolare, che hanno, tra le altre cose, contribuito ad allontanare l’elettorato dalla politica, come dimostra l’astensionismo crescente. E poi anche per rendere chiaro il ruolo del Colle, anche questo si può e deve dire, senza timori di accuse di “lesa maestà”. La riforma proposta dalla destra, basata non su un presidenzialismo vero e proprio, ma, appunto, su una ridefinizione del ruolo e delle modalità di designazione del Presidente del Consiglio, non esautora il Capo dello Stato dal suo compito di arbitro super partes, ma, allo stesso tempo, evita che lo stesso Quirinale debba, snaturando la propria funzione, trovarsi nella condizione di dover supplire alle carenze della politica nella formazione dell’Esecutivo, come più volte è accaduto negli anni recenti, dando, finalmente, una corrispondenza chiara fra risultato elettorale e mandato di governo. Un passo necessario per il Paese, anche per garantire una maggiore coesione sociale grazie a regole più chiare. Forse questo muro contro muro nella politica, che avviene a ridosso delle prossime elezioni dell’8 e 9 giugno, lascerà il posto, dopo le europee, ad una minore ideologizzazione del dibattito e ad un maggiore dialogo, cosa che sarebbe sicuramente più opportuna al fine di realizzare una riforma condivisa. Questo, almeno, l’auspicio.