Il centrosinistra si spacca, mentre le altre parti sociali non si pronunciano

Al momento né le altre sigle sindacali né le associazioni datoriali si sono pronunciate in maniera ufficiale sui quesiti referendari promossi dalla Cgil, che, se approvati, andrebbero a colpire uno dei punti centrali del Jobs act. La riforma del lavoro varata dall’allora governo Renzi ha introdotto il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, prevedendo, in caso di licenziamento illegittimo, il pagamento di una indennità in luogo della reintegra. Un intervento che, peraltro, arriva dopo il depotenziamento dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori voluto dal precedente esecutivo Monti con la riforma targata Fornero del 2012. A suo tempo, anche Uil e Ugl criticarono gli interventi, ma, come ha ricordato in questi giorni il segretario generale dell’Ugl, Paolo Capone, la via referendaria rischia di essere controproducente, perché toglie spazio alla contrattazione collettiva e all’interlocuzione con il governo. Intanto, però, la decisione della segretaria del Partito democratico, Elly Schlein, di sottoscrivere i quesiti, dopo che lo aveva già fatto l’ex premier e leader del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, sta alimentando fortissime polemiche nel campo del centrosinistra, tanto è vero che alcuni ministri di allora, come Dario Franceschini e Marianna Madia, hanno difeso il Jobs act. La stessa Fornero ha espresso la propria perplessità sull’iniziativa referendaria.