di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La Rai, azienda pubblica di Stato nonché ente radiofonico e televisivo, è al centro dell’attenzione in questi giorni per una questione che interessa direttamente il sindacato. L’Usigrai, lo storico sindacato Rai, ha proclamato, lunedì 5 maggio, 24 ore di sciopero. Ma, da qualche mese a questa parte, è nato un nuovo soggetto sindacale, Unirai, che rappresenta giornalisti e lavoratori che si riconoscono nelle idee di centrodestra e che, per questa ragione, ha deciso di non scioperare, in quanto non ha condiviso con le ragioni dello sciopero stesso.
Si può essere d’accordo o meno con le motivazioni indicate dall’Usigrai, tutte molto gravi in termini di democrazia, non solo di condizioni di lavoro, e per chi ha scelto, come me, il sindacato come missione, resta sempre valido il fatto che lo sciopero è un diritto. Ma lo è altrettanto il non scioperare, perché ciò che è davvero “intoccabile” è l’idea. O, meglio ancora, le idee.
L’Unirai è stato accusato di ogni nefandezza e cioè, in primis, quella di aver boicottato lo sciopero perché il TG1 e il TG2 sono andati lo stesso in onda, grazie anche a servizi più lunghi del solito e in diretta. Addirittura, Unirai è stato definito “cavallo di Troia” della destra per pilotare le news.
Forse bisognerebbe chiedersi, prima di tutto, se è normale che in una delle più grandi aziende pubbliche e di informazione sia stata rappresentata un’unica idea politica e per decenni. O, meglio, ancora se possa essere verosimile che tra lavoratori, tecnici e soprattutto giornalisti circolasse un’unica idea politica. Ritengo, non solo personalmente ma razionalmente, che ciò non sia possibile. Quindi un nuovo soggetto sindacale in Rai è nato, seppur recentemente, non per volontà di un governo di centrodestra, ma un nuovo sindacato di centrodestra è potuto nascere in un’azienda pubblica di Stato grazie all’avvento al governo del Paese di una coalizione politica finalmente eletta dal popolo, dopo anni che ciò non accadeva.
Gli eventi sono eventi, certo, ma si possono leggere in tanti modi e se una di queste tante e diverse letture, proprio in quanto diversa, viene bollata con il marchio dell’infamia, vuol dire che qualcosa non va, che c’è più di qualche bruscolino nell’occhio di chi ama definirsi democratico.
Ritengo inoltre che – e non perché o semplicemente perché io mi riconosca nelle idee di centrodestra – il pluralismo sia un valore aggiunto, un arricchimento e non un limite sia nella politica e altrettanto nel sindacato. Sono convinto che una pluralità di voci e di rappresentanza all’interno di un’azienda di Stato così importante, e patrimonio di tutti, sia una delle chiavi di svolta per un servizio pubblico essenziale che ha la necessità di interpretare e di correre insieme ai cambiamenti epocali a cui stiamo assistendo in tantissimi ambiti e, in primis, nel mondo del lavoro.