di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

A un mese dalle elezioni europee, la segretaria del Pd Elly Schlein ha infine deciso di seguire l’alleato e rivale Giuseppe Conte, leader dei Cinquestelle, e firmare il referendum della Cgil, i quattro quesiti finalizzati all’abolizione del Jobs Act. L’impressione è quella di un derby interno per conquistare i voti degli elettori di sinistra, più che di una mossa basata sulla volontà di difendere meglio i diritti dei lavoratori. Innanzitutto perché il Jobs Act è stato ideato e prodotto proprio dal partito di cui Schlein è ora a capo, nel 2016, quando alla guida del Pd c’era Renzi, ma, oltre a lui, erano presenti e favorevoli a questa riforma anche molti importanti dirigenti dell’attuale compagine dem. Una spaccatura interna, quindi, tra la segreteria ed i riformisti. Molti esponenti del partito, infatti, sono critici e non seguiranno la linea della leader, come dichiarato, ad esempio, da Piero De Luca, deputato Pd e coordinatore dell’area che fa capo a Bonaccini: «non firmerò per un referendum che probabilmente non produrrà neanche gli effetti desiderati: le norme sono state rimaneggiate in questi dieci anni». Comunque, al di là della campagna elettorale e delle questioni partitiche e tornando all’ambito sindacale, l’Ugl fin da subito è stata fermamente contraria all’introduzione del Jobs Act, attraverso scioperi, manifestazioni e mobilitazioni contro questa riforma, che abbiamo da sempre ritenuto peggiorativa per i diritti dei lavoratori ed ispirata da quella visione di austerità ai tempi imperante in Italia e a Bruxelles. Ma, nonostante tutto ciò, la strada del referendum non ci sembra quella giusta. I motivi sono diversi. Da un lato, certamente, a causa delle modifiche intervenute, che hanno cambiato in parte la situazione, dall’altro perché un’abolizione tout court, con un ritorno alla situazione precedente, potrebbe creare difficoltà ai lavoratori, proprio ora che l’occupazione, anche a tempo indeterminato, è a livelli record. Dopo tanti anni dall’introduzione del Jobs Act, fermo restando il pieno diritto ad esprimersi del popolo italiano attraverso lo strumento referendario, sarebbe più utile ed efficace un intervento legislativo mirato e contrattato con attenzione con le Parti Sociali per non incorrere in scelte avventate, in particolare in merito al terzo quesito, ovvero quello relativo alla limitazione dei contratti a termine, che prevede anche l’abrogazione di un articolo del Decreto Lavoro del 2023. Soprattutto ricordando alcuni precedenti, come il referendum sulla riforma dell’articolo 19 dello Statuto dei Lavoratori, promosso dai radicali nel 1995 con l’obiettivo di garantire maggiore libertà sindacale e che invece ottenne l’effetto inverso. Un caso non isolato, che spinge il nostro sindacato a chiedere la massima prudenza, onde evitare contraccolpi negativi dal punto di vista della tutela dei lavoratori.