Molti Paesi europei, fra cui la Germania, puntano soprattutto sul part time. Al momento, più che a fatti concreti, si è davanti a delle suggestioni, molto accattivanti, ma che scontano alcuni difetti difficili da superare con l’attuale organizzazione del mondo del lavoro
Il dibattito intorno all’introduzione della settimana corta ha raggiunto anche il nostro Paese, in seguito alla presentazione di tre proposte di legge da parte della minoranza parlamentare. Si tratta di un argomento di enorme presa, in quanto poggia sull’idea di lavorare meno a parità di salario, ma di difficile attuazione, come dimostra il fatto che, al momento, l’ipotesi è circoscritta a poche imprese a carattere multinazionale, con mansioni spesso copribili con lo smart working. Guardando ai dati, la maggior parte dei Paesi europei ha un orario settimanale medio superiore alle 40 ore, conteggiato tenendo conto del solo lavoro a tempo pieno, con la sola eccezione di Danimarca, Olanda, Finlandia e Norvegia. Italia, Germania e Spagna sono praticamente sulla stessa linea (circa 40 ore e mezza), mentre la Francia si ferma a 40 ore. Soprattutto Germania e Spagna, però, si caratterizzano per un sensile ricorso al part time, cosa che ricorre spesso in tutta l’area scandinava e mitteleuropea. Proprio il maggiore utilizzo del tempo parziale potrebbe rappresentare un forte disincentivo all’adozione della settimana corta, soprattutto da parte delle imprese, mentre chi sostiene la diversa organizzazione del lavoro punta sulla valorizzazione dei tempi di vita, anche in un’ottica di conciliazione. Non a caso, si parla spesso di weekend lungo, pure se, a rigor di logica, i quattro giorni di lavoro andrebbero posizionati tenendo conto anche delle esigenze delle aziende e, quindi, ad esempio, dal giovedì alla domenica.