di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Un tema all’ordine del giorno in merito alle riforme da realizzare nel mondo del lavoro è quello della settimana corta, ovvero la diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Per comprendere pienamente il senso di questa proposta, occorre valutarla alla luce delle trasformazioni del mondo produttivo, riassumibili in due parole: digitalizzazione e robotizzazione. Nel settore terziario, come anche nel mondo della produzione agricola e dell’industria, i progressi tecnologici stanno rendendo possibili delle modalità di produzione diverse, capaci di rendere necessaria una mole inferiore di lavoro. Tutto questo si può tradurre, in un’ottica socialmente responsabile che voglia rendere questa “rivoluzione industriale” positiva non solo per alcuni, ma per la società nel suo complesso, non in una riduzione del numero di occupati, ma, piuttosto, in una rimodulazione dell’orario di lavoro, seguendo in un certo senso l’antico slogan “lavorare meno, lavorare tutti”, non solo per motivi etici, ma anche per mantenere in piedi il sistema economico-sociale, salvaguardando, quindi, consumi, entrate fiscali, contributive e così via. Si tratta di un’idea da approfondire nell’interesse della comunità, rendendola, però, non una semplice dichiarazione di intenti velleitaria, ma qualcosa di concretamente realizzabile nel mondo del lavoro, mettendo quindi d’accordo la necessità delle imprese di sopravvivere e fare utili e quella dei lavoratori di ottenere una migliore conciliazione fra vita professionale e privata, in modo che le due esigenze non siano contrapposte, ma complementari. Per questo fra le varie proposte di legge presentate sulla materia, quella numero 142 di Fratoianni, la 1000 a firma Conte e la 1505 di Scotto, quest’ultima sembra la più fattibile nel contesto del sistema produttivo italiano, caratterizzato come noto da tante Pmi, maggiormente in difficoltà in tema di innovazione, digitalizzazione e robotizzazione, perché punta non su un’imposizione per legge dell’orario ridotto, di difficile realizzazione, ma su un sistema di incentivi e sgravi fiscali, sulla contrattazione collettiva per per la sperimentazione di una progressiva riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e sull’utilizzo del Fondo Nuove Competenze per connettere orario ridotto e formazione. Una proposta dell’opposizione che tra l’altro ha trovato aperture da parte del governo. Un tema che si potrebbe anche collegare a quello non troppo dissimile dello smart working, per l’Ugl da regolamentare meglio, passando dall’accordo individuale tra le parti a una definizione di criteri prioritari, basati su situazioni oggettive, dall’età ai carichi familiari, dalla distanza casa-lavoro alle condizioni di salute, da stabilire nei contratti collettivi, per garantire più equità nella possibilità di usufruire di questa modalità di lavoro.