di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Oltre alla sicurezza e alla salute nei luoghi di lavoro e alla partecipazione dei lavoratori alla gestione e agli utili dell’impresa, un’altra battaglia che caratterizza l’azione sindacale dell’UGL, come Confederazione, è quella sulla formazione. Formazione che riveste sempre maggiore importanza, alla luce delle rivoluzioni in atto nel mondo del lavoro, indotte dall’avvento traumatico dell’IA.
Non sorprendono, ma, comunque, preoccupano, i dati diffusi dall’Istat: l’Italia è in ritardo rispetto ai principali Paesi Ue in tema di istruzione e formazione. Tra gli adulti di 25-64 anni, il tasso di partecipazione alla formazione (formale o non formale) è pari al 35,7%, quasi l’11% al di sotto della media Ue. Ciò colloca il nostro Paese al 21° posto nel ranking Ue27, mentre il numero di ore dedicate alla formazione è più basso in Italia rispetto alla media Ue27 (133 rispetto a 144), per effetto del minor numero di ore dedicate all’istruzione formale. Diversi i paradossi. Il primo, la partecipazione alle attività di apprendimento ha un andamento decisamente decrescente con il passare degli anni. Nonostante, quindi, il progredire vertiginoso della tecnologia e il fenomeno del mismatch. In Italia il 10,2% dei giovani tra i 18 e i 24 anni, nel 2022, non è più inserito in un percorso formativo, pur avendo raggiunto al più un titolo secondario di I grado. All’aumentare del livello di istruzione cresce la partecipazione alle attività formative, formali e non formali. Altro paradosso, i disoccupati (18-74 anni) accedono in misura minore alle attività formative (20,5%) rispetto agli occupati (44,1%); stessa cosa fanno gli occupati in professioni a bassa qualifica (24,6%) rispetto a chi svolge professioni più qualificate – dirigenti, imprenditori e liberi professionisti – (62,6%). Tra gli occupati la partecipazione formativa delle donne è più elevata, 47,5%, a fronte del 41,6% degli uomini, tra i livelli professionali medio-alti. Ancora un paradosso: la formazione diminuisce tra le operaie e le occupate a bassa qualifica (22,9%) e per il 29,7% degli operai, tra le disoccupate (18,8%) e i disoccupati (22,6%).
Sostanzialmente, in Italia non sono cambiate le cattive abitudini di circa 20 anni fa. Tuttavia, quello che è profondamente mutato è il contesto, che sta rendendo obsolete professioni un tempo molto ambite. La realtà impedisce di restare fermi dove si è, si può soltanto o scivolare sempre più indietro o andare, pur faticosamente, avanti.