di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Nel Dna degli italiani c’è la casa come “bene rifugio”, molto più di quanto avviene in altri Paesi. Le motivazioni alla base di questa visione sono diverse, di tipo culturale, con una maggiore propensione alla stabilità, ma anche di tipo economico-sociale: in un contesto come il nostro, con le tante incognite sul futuro ed un ascensore sociale pressoché fermo, possedere un immobile resta per molti l’unica garanzia per se stessi e per i propri figli. La casa rappresenta, in sostanza, un salvagente per la gran parte delle famiglie. Detto questo, su questo tema c’è un approccio completamente diverso fra destra e sinistra. Per la sinistra – compresa quella Ue con le sue ricette “green” – la casa è solo un bene da aggredire, con patrimoniali e tasse varie, con un chiaro sotto-testo: possedere immobili è cosa “da ricchi”. Poco importa se si tratti magari di una piccola prima casa, o di un’eredità frutto di sacrifici. Il 77% delle famiglie italiane vive in una casa di proprietà e difficilmente si può pensare che la nostra sia una nazione di milionari. Non solo, spesso i veri grandi immobiliaristi utilizzano escamotage legali e fiscali di vario genere e l’attacco alla fine è indirizzato alla sempre tartassata classe media. Rendendo la faccenda ancora più paradossale, abbiamo visto di recente utilizzare molti soldi pubblici per un piano di ristrutturazione, il Superbonus 110%, rivolto nella stragrande maggioranza dei casi a chi non ne avrebbe affatto avuto bisogno, quando per muovere l’economia e compiere la transizione energetica sarebbe stato certamente più saggio utilizzare quei fondi per mettere in sicurezza e modernizzare scuole, ospedali ed edifici pubblici. Ora la destra, ed in particolare il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Salvini, ha fatto una proposta che, fortunatamente, va in una direzione opposta. Un pacchetto di norme per regolarizzare le piccole difformità o anche per il cambio di destinazione d’uso fra immobili di categorie omogenee. Norme, quindi, che riguarderebbero modifiche fatte all’interno delle case, che non influiscono sulle cubature, ma che pesano sulla possibilità di vendere il proprio immobile. Una situazione che, in base ad uno studio del Consiglio nazionale degli ingegneri, riguarda quasi l’80% del patrimonio immobiliare italiano. La differenza di base fra i due approcci è palese: in questo caso l’idea è quella di venire incontro alle esigenze dei piccoli proprietari, senza peraltro incidere negativamente sulla cementificazione, trattandosi di modifiche interne o di mere questioni burocratiche, alleggerendo il lavoro degli uffici preposti ai controlli, in modo, tra l’altro, che si possano dedicare ai veri abusi, rivitalizzando il settore immobiliare ed infine garantendo allo Stato maggiori entrate, e non uscite incontrollate come in passato, volte a sostenere welfare e servizi.