di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Il trend in discesa della natalità in Italia continua, gli indicatori demografici pubblicati oggi dall’Istat non lasciano, infatti, adito a dubbi. Con un numero medio di figli per donna sceso a 1,20, nel 2023 sono state 379mila le nascite nel nostro Paese, nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Con un tasso di mortalità di 11 decessi per 1.000 abitanti, aumenta il dato relativo all’invecchiamento della popolazione: l’età media è arrivata a 46,6 anni, la popolazione over65 costituisce il 24,3% del totale e ci sono oltre 4 milioni e mezzo di ultraottantenni, che sono in numero superiore alla popolazione con meno di 10 anni di età. Cresce il saldo migratorio netto, ovvero il rapporto fra emigrati italiani e immigrati stranieri, a +274mila, ma non compensa la questione demografica, con, infatti, una popolazione complessiva che scende a 58 milioni 990mila unità al 1° gennaio 2024, 7mila in meno rispetto alla stessa data dell’anno precedente. Su questi dati sono possibili moltissime riflessioni di tipo politico, sociale ed economico. Relativamente al mondo del lavoro e della previdenza, è evidente la difficoltà che il Paese si trova ad affrontare e la situazione è sintetizzata oggi dal Mattino: osservando la numerosità delle varie fasce anagrafiche, si nota che le persone che escono dall’età lavorativa, superando i 64 anni, sono 200mila in più rispetto ai giovani che, compiendo 20 anni, entrano nella definizione europea di “persone in età attiva”, bloccando, quindi, il ricambio generazionale. Ed in base alle previsioni, entro breve, ossia nel 2029, questo numero potrebbe raddoppiare, con uno scarto di 400mila individui fra neo 65enni e neo 20enni. Neanche l’arrivo di lavoratori stranieri sta compensando questo fenomeno molto rischioso e di difficile risoluzione, perché se da un lato non si inverte la tendenza alla denatalità, dall’altro anche la coorte di persone in età fertile sta progressivamente diminuendo e la prospettiva è quella di una grande percentuale di pensionati rispetto ad una forza lavoro molto più esigua. Il vero “malato demografico” in Italia è ormai il Mezzogiorno, poco attrattivo sia per i giovani locali, che spesso emigrano al Nord o all’estero, che anche per gli stessi immigrati, che si dirigono altrove, generando un vero e proprio spopolamento. Rendere attrattivo il Paese per le imprese e per i lavoratori, puntare sull’occupazione femminile togliendo dall’inattività le donne in età lavorativa che sono ancora troppo numerose, insistere in modo efficace sulla conciliazione tra vita familiare e professionale con tutti gli strumenti disponibili sia all’interno che all’esterno delle aziende, per rendere possibile ai giovani di immaginare un progetto di genitorialità, sono alcune delle azioni da intraprendere al più presto per arginare un fenomeno estremamente pericoloso per la tenuta sociale.