di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

La digitalizzazione in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante con la diffusione dell’Intelligenza Artificiale, una tecnologia che non interessa solo le grandi multinazionali, ma anche le imprese medie e piccole. L’IA, è stato sottolineato molte volte, rischia di generare una perdita di posti di lavoro significativa, ma a sua volta sta determinando un aumento massiccio della domanda da parte delle aziende di professionalità specifiche in ambito ingegneristico ed informatico, di esperti di robotica, di elettricisti specializzati ed addetti ai macchinari. Affrontare correttamente la questione dell’IA dal punto di vista del mondo del lavoro – oltre che da quello etico e della sicurezza, altri elementi cruciali – significa evitare che questa evoluzione si traduca in disoccupazione ed ulteriore mismatch tra domanda e offerta. In sintesi, se alcuni settori saranno ridimensionati dal punto di vista occupazionale, altri, invece, richiederanno un numero maggiore di addetti, anche in professioni altamente retribuite. Occorre, quindi, provvedere per tempo ad una migliore connessione fra mondo della formazione e del lavoro. Non si tratta di un tema futuristico, ma di stretta attualità, come conferma un’indagine di Confartigianato di cui si parla oggi su Libero Quotidiano. Uno studio in base al quale già ora ci sono migliaia di posti vacanti in questo settore, specie al Centro-Nord dove l’economia è più florida e maggiore l’innovazione. In Trentino Alto Adige non si trova il 67% dei lavoratori informatici che sarebbero necessari alle imprese locali, in Friuli Venezia Giulia più del 65%, corrispondente a circa 4.800 posti di lavoro, in Umbria il 63,8%. In Veneto mancano all’appello circa 20mila lavoratori legati all’IA, in l’Emilia Romagna altri 18mila, in Lombardia quasi 47mila, 16mila rispettivamente in Piemonte e in Valle d’Aosta. Alle aziende italiane occorrono complessivamente 450mila lavoratori con quelle che vengono definite le “e-skill 4.0”, ovvero le competenze di ultima generazione in ambito digitale, invece non si riesce a soddisfare questo fabbisogno, con 250mila lavoratori che mancano all’appello, il 55%, più della metà. Questo gap fra domanda e offerta di lavoro impedisce la realizzazione professionale, sociale e personale di molti giovani, magari disoccupati o sotto-occupati e che invece con le competenze giuste avrebbero la possibilità di ottenere buone e stabili proposte di lavoro. Inoltre una simile situazione colpisce le imprese, la loro crescita e la loro capacità di competere sui mercati internazionali. Di conseguenza l’intera collettività, in termini di minore sviluppo, benessere, entrate fiscali, consumi interni e così via. Il sistema Italia deve riuscire a trasformare il rischio IA in opportunità e la chiave di volta, nel mondo produttivo, è la formazione.