di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Quella di padre sembra essere diventata una condizione sempre più difficile in Italia. Mettere figli al mondo per la prima volta è un’esperienza che gli uomini italiani continuano a rimandare: per l’Istat, in Italia si diventa papà mediamente a 35,8 anni, in Francia a 33,9 anni, in Germania a 33,2. Addirittura, un uomo su 3 va anche oltre la soglia dei 35 anni. Secondo la Sia (Società Italiana di Andrologia), in Italia l’età in cui si fa il primo figlio è aumentata di 10 anni, passando dai 25 anni della fine degli anni ’90 ai circa 36 attuali.
Allo stesso tempo, qualcosa di buono accade: cresce negli uomini la consapevolezza dell’importanza del ruolo di padre e infatti il numero di beneficiari dei congedi parentali è in aumento. Secondo i dati resi noti dall’Istituto Promozione Lavoratori (Ipl) in occasione della Festa del Papà, la prolungata chiusura delle scuole e dei servizi all’infanzia nella primavera 2020 e le riaperture a singhiozzo del 2021 hanno fatto intravedere la diffusione di un maggiore ricorso ai congedi dei padri rispetto al passato. Anche se, il contributo provinciale, previsto per chi si assenta per più di due mesi, vede un calo nelle richieste.
Il perdurante stato di crisi e di allerta che in Occidente, prima per il Covid, poi per le guerre e l’impennata dell’inflazione, nonché dei prezzi delle materie prime, si sta ancora vivendo, di sicuro non aiuta a immaginare di mettere al mondo dei figli. Secondo l’istituto di ricerca Eumetra, che in occasione della “Festa del papà” ha reso noti i risultati dell’Osservatorio Parents, il 77% dei padri italiani è preoccupato per il futuro, con un picco di ansia (85%) tra coloro che hanno figli tra zero e tre anni. Il tema economico è la principale fonte di preoccupazione, per il rialzo dei prezzi (56%) e l’andamento dell’economia italiana (41%), seguiti dal cambiamento climatico (39%). Sebbene il 61% dei papà indichi una stabilità delle entrate, il 51% riferisce una diminuzione dei risparmi della famiglia.
La precarietà del lavoro dei padri non aiuta. Come incentivo ad un maggiore sviluppo della genitorialità tra le giovani generazioni, i papà infatti mettono al primo posto un lavoro stabile e sicuro (24%), seguito da uno stipendio adeguato (22%), con solo il 16% che considera cruciale il sostegno economico dello Stato, mentre il 52% lo giudica sufficiente.
La necessità di una maggiore conciliazione tra lavoro e genitorialità è sentita, oggi, anche tra i papà, con il 39% che richiede maggiori supporti familiari e il 31% che riconosce la necessità di compromessi.
La mentalità sta cambiando e con essa dovrebbe viaggiare di pari passo anche la cultura del mondo-mercato del lavoro, magari anche recuperando quel qualcosa di buono, la stabilità, che dal passato continua a farci riflettere.