Un riconoscimento meritato
di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

L’Aquila è stata proclamata Capitale della Cultura 2026, un segnale di fiducia quindici anni dopo il terremoto per una città devastata dal sisma e segnata dai lutti, che coraggiosamente e tenacemente è tornata a vivere e che ora vede premiato il proprio difficile percorso di rinascita con un riconoscimento più che meritato. Non, però, a titolo di “risarcimento” per quanto accaduto, ma nella piena consapevolezza della storia plurisecolare e delle grandi ricchezze culturali ed artistiche del capoluogo abruzzese. Il progetto che ha permesso la vittoria si intitola “L’Aquila Città multiverso” ed è caratterizzato dal coinvolgimento, oltre che del capoluogo, anche del territorio circostante, a cominciare dalla vicina città di Rieti, in una «sperimentazione artistica per la creazione di un modello di rilancio socio-economico territoriale a base culturale della città», come è stato illustrato dallo stesso sindaco, Pierluigi Biondi, che ha parlato di come questa iniziativa si collochi nell’ambito dei quattro assi della Nuova Agenda Europea della Cultura: coesione sociale, salute pubblica benessere, creatività e innovazione, sostenibilità socio-ambientale. Insomma, fare del grande patrimonio storico, culturale, umanistico, artistico ed architettonico di questa città e di quest’area uno strumento di crescita sia economica che occupazionale e sociale, coinvolgendo le nuove generazioni come è stato fatto in questo progetto. Lo spirito di questa iniziativa è quello di coniugare in modo lungimirante cultura e sviluppo, arte e tecnologia, passato e futuro, per impostare, dopo la ricostruzione materiale della città, anche quella “immateriale”, quindici anni dopo il sisma del 2009 che aveva distrutto fisicamente e moralmente L’Aquila. Un bellissimo segnale di speranza, che, nonostante alcune solite pretestuose polemiche politiche, dimostra lo spirito di coesione nazionale nel sostenere la piena ripresa del territorio. E un modello che potrebbe ricoprire il ruolo di apripista, da replicare in tutto il Paese e soprattutto nelle aree montane ed interne, perché molte delle nostre enormi risorse non sono state gestite finora nel modo migliore, con progetti all’avanguardia capaci di valorizzare pienamente il patrimonio culturale italiano. E questo è inaccettabile, perché le ricchezze di cui dispone il Paese, oltre che da tutelare e difendere meglio, possono anche consentire di intraprendere un percorso di sviluppo economico e sociale tale da contribuire in modo significativo alla crescita generale italiana. Oltre alla cosiddetta “industria culturale”, sarebbero, infatti, coinvolti a cascata moltissimi altri settori, da quello dei trasporti a quello agroalimentare, dai servizi alla comunicazione e così via. In una visione capace di coniugare tradizione e innovazione, a fini dello sviluppo economico e con una prospettiva sociale.