Consiglio Ue trova accordo su tutele rider. Ma la direttiva impatta su un settore di estrema importanza per il lavoro

Dai rider agli autisti che si occupano della consegna di pacchi, passando per i professionisti che offrono le loro prestazioni on-line, sono circa 28 milioni i lavoratori delle piattaforme oggi al centro del Consiglio Ue Lavoro e politica sociale, riunito a Bruxelles, e della direttiva in tema, su cui i colegislatori, in sede di trilogo, hanno raggiunto un accordo politico provvisorio, a differenza di quanto era avvenuto nel Coreper, a causa dell’astensione di Estonia, Francia, Germania e Grecia (l’Italia ha votato a favore). Consiglio che ha approvato il nuovo accordo provvisorio con il Parlamento europeo sulle norme per migliorare le condizioni di lavoro del personale delle piattaforme digitali. Passato perché Grecia ed Estonia hanno ritirato la loro contrarietà alla direttiva sui diritti dei lavoratori delle piatteforme, permettendo così il via libera da parte del Consiglio. Francia contraria, Germania astenuta. Se, da una parte, obiettivo della direttiva è garantire che i lavoratori abbiano il loro status classificato correttamente, dall’altro, però, si presuppone che quello corretto sia soltanto il lavoro dipendente e, quindi, si presume allo stesso tempo che quello fittizio sia il lavoro autonomo. Ciò nonostante, nella gig economy le tipologie di lavoro siano molto differenti tra di loro e siano differenti tra Stato e Stato. La presunzione di rapporto subordinato si basa sul fatto che, secondo le stime della Ue, siano 5,5 milioni i lavoratori delle piattaforme, tra cui i rider, erroneamente classificati come autonomi. Su questo, non solo non sono d’accordo tutti i Paesi, ma nemmeno tutti i lavoratori e sindacati. Come, ad esempio, in Italia, dove esiste il primo e unico ccnl (AssoDelivery-Ugl-Rider) che regola il lavoro dei ciclofattorini e che, secondo il giuslavorista Pietro Ichino, «è l’atto di nascita di una nuova categoria sindacale». Il via libera arriva dopo che l’intesa era tornata al negoziato a febbraio, a causa dell’astensione di 4 Paesi (Estonia, Francia, Germania, Grecia). Secondo le stime delle istituzioni comunitarie, i lavoratori di questo settore diventeranno 43 milioni entro il 2025. I numeri dimostrano che la direttiva rischia di impattare su un’economia di estrema importanza per il futuro economico e lavorativo dell’Unione stessa. Secondo la ministra del Lavoro, Marina Calderone, impegnata a Bruxelles oggi e domani, «il testo ci lascia la libertà a livello nazionale di declinare i princìpi della direttiva nel nostro sistema, mantenendo le tutele per i lavoratori indipendentemente dal loro status, senza penalizzare le imprese».