di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

Oggi su Il Foglio è stata pubblicata un’interessante analisi sul lavoro femminile in Italia, a firma di Veronica De Romanis, con dati e riflessioni utili a comprendere meglio questo problema. Innanzitutto nel nostro Paese c’è ancora un tasso troppo basso di occupazione, con, nella fascia d’età 20-64 anni, solo una donna su due occupata, molto meno di quanto avviene negli altri Stati dell’Unione europea. Poi, quando il lavoro c’è, per le donne si tratta, molto più spesso che per gli uomini, di sotto occupazione. Dati che si traducono non solo in una minore inclusione sociale ed indipendenza economica per le donne stesse, ma anche in meno risorse per le famiglie e danni sia all’economia, in termini di minori consumi, che allo Stato, con minori tasse e contributi sui quali poter contare, risorse inferiori e quindi un maggior rischio di aumentare ulteriormente il debito pubblico. Sappiamo che alla base di questa situazione c’è un circolo vizioso, che nasce dalle carenze dei servizi di assistenza per minori e non autosufficienti. Una situazione che comporta di conseguenza maggiori oneri di cura, che ricadono sulle donne e che comportano una loro minore disponibilità ad impegnarsi a tempo pieno nel mondo del lavoro. Si tratta, certo, di una questione culturale – gli oneri di cura che ricadono sulle donne, l’atteggiamento delle imprese, il nodo formazione Stem – ma anche di un problema estremamente pratico per le famiglie italiane, che hanno bisogno di servizi migliori. Un’occupazione femminile inferiore comporta minore crescita e di conseguenza minori risorse per il welfare stesso generando un loop infinito. È necessario spezzare questa catena e l’unico sistema è quello di rendere possibile una migliore conciliazione fra esigenze familiari e lavorative, per rendere finalmente le donne libere di partecipare appieno al mondo del lavoro. Servono servizi più moderni, adatti al mondo contemporaneo. Ed anche le aziende devono essere incentivate a creare un contesto lavorativo “family friendly”. Interessante poi notare, come fa l’articolo, come questa situazione sia connessa ad una persistente denatalità, data l’instabilità economica che preoccupa molte famiglie. E poi c’è la questione pensionistica: le donne, tra l’altro con un’aspettativa di vita maggiore rispetto agli uomini, avendo, in media, una vita lavorativa più instabile e meno retribuita, tra periodi di inattività, part-time involontario e precarietà, avranno una pensione inferiore andando a costituire una categoria sociale numerosa ed economicamente fragile. Un tema importante per tutta la società, di cui parlare non solo ora, a pochi giorni dall’otto marzo, giornata internazionale della donna, ma da mettere in cima all’agenda politica. Perché non si tratta solo di un grave caso di ingiustizia sociale, ma anche di un vulnus che mina alle radici la crescita.