di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

L’impostazione generale del green deal europeo – ferma restando la necessità condivisa del contrasto all’inquinamento – ha provocato non pochi problemi al sistema produttivo del Vecchio Continente. Più volte abbiamo criticato l’impostazione troppo ideologica e poco sociale, ovvero sostanzialmente indifferente nei confronti delle ripercussioni su aziende e lavoratori, di una trasformazione che finora, senza una strategia avveduta e lungimirante, più che l’ambiente, è sembrata favorire i competitor economici dell’Europa senza, peraltro, incidere significativamente, date le diverse regole vigenti nel resto del mondo, sulla salvaguardia del Pianeta. Un tema che riguarda la nostra industria, e quella automobilistica ne è un esempio, ma che interessa sgnificativamente il mondo agricolo ed agroalimentare. Le massicce proteste degli agricoltori europei hanno avuto il merito di riportare un sano realismo nel dibattito politico, tanto che anche a Bruxelles si sta comprendendo la necessità di cambiare rotta, come dimostrano le affermazioni di ieri di Manfred Weber, presidente del Ppe: “Siamo impegnati ad essere ambiziosi negli obiettivi climatici ma dobbiamo farlo insieme agli agricoltori, insieme all’industria. Non voglio vedere i motori delle automobili o le pompe di calore arrivare dalla Cina. Dobbiamo poter usare il lavoro europeo. Quindi ora dobbiamo trasformare il green deal in un vero deal economico e questo è il compito per il prossimi anni”. L’Italia in questa battaglia si è posta come capofila nel settore agroalimentare, basti pensare alla questione della carne sintetica, ed il nostro ministro dell’Agricoltura, Lollobrigida, ha parlato delle consultazioni per il rinnovo del Parlamento Ue, che si terranno l’8 giugno, come di un’occasione storica. Puntare ad una maggiore autosufficienza, difendere le produzioni di qualità, combattere la concorrenza sleale, proteggere i consumatori. Ma anche affrontare le conseguenze dell’inflazione, il rincaro delle materie prime, il divario tra il prezzo pagato ai produttori e quello finale sul mercato, l’eccessiva burocrazia. Salvaguardare la salute e sicurezza dei lavoratori, combattere il caporalato, gestire correttamente i flussi di lavoratori stranieri. L’auspicio è che anche all’indomani delle elezioni europee tali principi diventino finalmente realtà nell’Unione. Dal punto di vista nazionale, l’impostazione del governo su questi temi sembra chiara e condivisibile. La politica, in Italia come in Europa, deve ascoltare le istanze provenienti dal mondo agricolo, aiutandolo ad affrontare e superare le tante criticità del presente e tornando a considerare questo settore in un modo più adeguato: sia dal punto di vista economico e sociale, fondamentale, ma anche come un pilastro, centrale e insostituibile, della stessa identità culturale del nostro Continente.