Part time e contratti di breve durata penalizzano soprattutto le lavoratrici

La distanza si è ridotta, ma ancora resta forte il differenziale stipendiale e, di conseguenza, previdenziale fra gli uomini e le donne nel nostro Paese. È questo quanto emerge dalla lettura della relazione sui differenziali di genere appena presentata dall’Inps. Si tratta di una analisi, per molti versi, innovativa, che permette di avere un quadro più certo per gli interventi che il governo vorrà prendere. Non da oggi, Cgil, Cisl, Uil e Ugl insistono sulla necessità di adottare delle misure mirate per favorire l’occupazione femminile e per assicurare una pensione dignitosa. Sul primo aspetto, qualcosa è già emerso con l’ultima legge di bilancio, mentre l’altra questione è stata al centro di uno dei tavoli tecnici che la ministra Marina Calderone ha avuto con i sindacati nei mesi scorsi. Sul versante delle pensioni, l’Inps fa sapere che su 322 miliardi di spesa pensionistica e assistenziale, alle donne ne sono andati 141 e agli uomini 180, con una differenza in negativo di circa 40 miliardi. Il divario retributivo medio è di circa 6mila euro annui (24.500 euro contro 17.300) nel privato e di 5.200 euro nel pubblico. Nella pubblica amministrazione, tale divario è generato principalmente dal maggiore impatto dei contratti di breve durata nella scuola e nella sanità, due comparti con forte presenza femminile. In generale, pesa molto il ricorso al part time, compreso quello involontario.