di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

In materia di Politiche agricole, l’UE sta facendo un po’ di passi indietro, con l’intento di dare risposte, ancorché parziali, alle istanze degli agricoltori in rivolta in tutta Europa ma, così, dando ragione a tutti coloro che, e sono tanti, si fanno delle domande.
Perché il Green Deal non tiene conto delle tante realtà, dall’industria all’agricoltura, sulle quali sta andando ad impattare? Perché lasciare il 4% delle terre incolte per stimolare la biodiversità – regola che, se non rispettata, impedisce l’accesso ai fondi della Pac – se poi si siglano accordi di libero scambio che agevolano, sì, l’esportazione, ma consentono l’importazione di prodotti stranieri più scadenti e a un prezzo che è in aperta concorrenza, sleale, con le produzioni europee? Perché affermare di voler tutelare e valorizzare i produttori e i prodotti dell’agroalimentare Ue, che tante eccellenze può vantare, se poi ci si accinge (o forse no, magari sarà un’altra retromarcia) a siglare un altro patto di libero scambio con il Mercosur ovvero Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay più il Venezuela? Perché i più penalizzati dall’agenda di sostenibilità UE sono i produttori più piccoli?
Come se non fosse chiaro ciò che ha fatto scatenare le proteste in Germania – ampliatesi poi a macchia d’olio in altri Paesi – e cioè la proposta della Commissione europea di rinnovare il regime agevolato per l’import agro-alimentare dell’Ucraina per un altro anno. Scelta, è bene sottolinearlo, non rispondente ad una strategia di politica agricola. Ecco, dove sta il punto: l’ambiguità delle politiche europee. Dimostrata, paradossalmente, dall’invito a partecipare a Sanremo che gli agricoltori italiani si sono visti recapitare dal direttore artistico e presentatore della kermesse, Amadeus.
Il gradimento degli italiani, vero o presunto che sia, verso la ribellione degli agricoltori non nasce solo dall’antieuropeismo, ma dal buon senso e dalla consapevolezza che, quando si parla di qualità, non c’è farina di grillo autorizzata, non c’è grano dal Canada né pollo dal Mercosur che tengano, c’è solo l’Italia o al massimo l’Europa.
A proposito di Italia, riflettiamo su un altro aspetto: il ritiro della proposta di regolamento sull’uso dei fitofarmaci (Sur), annunciato da Ursula von der Leyen, ha salvato, secondo Coldiretti, il 30% delle produzioni alla base della dieta mediterranea. Insomma, come per gli imballaggi o per le auto elettriche, è chiaro che l’Ue pone degli obiettivi o lesivi di intere filiere produttive europee, per non dire italiane, o irrealistici, che poi sono sempre cittadini, lavoratori, imprese a pagare.
Non ne sono consapevoli a Bruxelles? Adesso che si stanno avvicinando le Europee, forse, non più. Solo le urne, tuttavia, diranno se la presa di coscienza è arrivata in tempo oppure no.