A buttare più cibo sono principalmente i più poveri, costretti dall’inflazione ad acquistare alimenti più scadenti e più facilmente deperibili

Torna a crescere, in Italia, lo spreco alimentare. Lo rivela Rapporto “Il caso Italia” dell’Osservatorio Waste Watcher International, pubblicato ad una manciata di giorni dall’11a Giornata nazionale di Prevenzione, in programma lunedì 5 febbraio. Ogni giorno, nelle case italiane, vengono buttati 81 grammi di cibo a testa, in aumento rispetto ai 75 grammi del 2023. In pratica, oltre mezzo chilo (566,3 grammi). Si tratta dell’8,05% di spreco in più rispetto a un anno fa, sottolinea il report. Che poi stima anche il costo economico, calcolato in 290 euro a famiglia (o: 126 euro pro capite). In Italia, lo spreco alimentare vale complessivamente oltre 13 miliardi di euro, con lo spreco domestico che incide di più, con circa 7,5 miliardi di euro, rispetto a quello della distribuzione, più contenuto, a quasi quattro miliardi. Spulciando i dati, emerge che nelle città e nei Comuni di grandi dimensioni lo spreco è maggiore (+8%), più attenti invece gli abitanti dei piccoli centri. A buttare più cibo inoltre sono le famiglie senza figli (+3%) e i consumatori a basso potere d’acquisto (+17%); un fenomeno più evidente al Sud (+4% rispetto alla media nazionale) e meno al Nord (-6%). Dal rapporto emerge un aspetto interessante: chi, durante la rilevazione, si è dichiarato povero mangia peggio e spreca di più (+17%). Ad incidere è l’effetto prolungato dell’inflazione che, abbassando il potere d’acquisto, spinge il consumatore ad comprare cibo di qualità peggiore e più facilmente deteriorabile. Un consumatore su due cerca cibo a ridosso di scadenza per risparmiare, il 41% sceglie il discount a scapito del negozio, il 77% ha intaccato i risparmi per fare fronte al costo della vita, il 28% ha tagliato ulteriormente il budget per la spesa alimentare.