di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale UGL

È cosa nota ed innegabile, la nostra organizzazione, prima Cisnal oggi Ugl, porta avanti fin dalla fondazione, come principale obiettivo della propria azione sindacale la «battaglia» per l’attuazione della partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Nel corso della storia della Repubblica sono state diverse le proposte di legge sull’argomento, ma la realizzazione dell’art. 46 non è mai avvenuta. Eppure, dopo tanti tentativi andati a vuoto, l’impressione è che stavolta si faccia finalmente sul serio. I tempi, dal punto di vista politico, sono maturi, e la situazione economica ha reso palese l’utilità dello strumento partecipativo. Per questo guardiamo con fiducia al moltiplicarsi di proposte di legge che sono state presentate negli ultimi mesi sulla materia. A cominciare da quella della Cisl, originatasi da un’iniziativa popolare, una proposta che l’Ugl considera positivamente perché poco importa che sia stata ideata da una sigla, per così dire, «concorrente», mentre è essenziale che vada nella direzione giusta. Oggi, nel corso dell’audizione alla Camera sulla partecipazione, in collaborazione con l’Istituto Stato e Partecipazione, abbiamo approfondito le proposte e consegnato le nostre osservazioni, motivate innanzitutto dalla volontà di arrivare ad una legge che renda realmente esigibile il diritto alla partecipazione, che sia realizzabile nel più breve tempo possibile e che si richiami alla contrattazione collettiva, anche se in questa fase resta decisivo il sostegno che può arrivare da atti del Governo. La chiave per la realizzazione della partecipazione si trova nell’individuazione di una soglia minima dimensionale e di fatturato delle aziende, superata la quale l’introduzione di forme di partecipazione diventi obbligatoria. Proprio il concetto di obbligatorietà rende la proposta elaborata dall’Ugl capace di introdurre un «cambiamento di stato» nella storia delle relazioni industriali italiane. Nel concreto stabilendo che nelle aziende con oltre 100 dipendenti si debbano introdurre degli istituti partecipativi e distribuire gli utili eccedenti la quota destinata agli investimenti e alla remunerazione degli azionisti. Che nelle società con un numero di dipendenti da 100 a 250, ovvero in quelle in cui il totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni sia superiore a 40milioni di euro, che si debba istituire un Comitato di Partecipazione, eletto direttamente dai lavoratori e distinto dalla Rsu, distribuendo, inoltre, gli utili ai lavoratori nella misura del 15% del margine operativo lordo per tutte le aziende che non applichino il secondo livello di contrattazione, aziendale o territoriale, e tutelando, quindi, per legge, la distribuzione del premio di risultato. Infine, che nelle società con oltre 250 dipendenti ovvero in quelle in cui il totale dei ricavi netti delle vendite e delle prestazioni sia superiore a 100milioni di euro, che si debba istituire un Comitato di Gestione attraverso il quale i lavoratori possano intervenire nella gestione aziendale, diventando anche dei veri e propri soci di lavoro, con una partecipazione ai risultati economici della loro società in relazione al ruolo che vi svolgono, in assenza di determinazioni da contratto collettivo, nazionale o di prossimità, pari al 20% del margine operativo lordo risultante dal bilancio di esercizio. Se applicata, una vera e propria rivoluzione nelle relazioni industriali italiane.