La Consulta chiede, però, al Parlamento di chiarire meglio alcuni passaggi

Una sentenza destinata soprattutto a riaccendere le polemiche nel centrosinistra. La Corte costituzionale ha stabilito la piena legittimità costituzionale della riforma introdotta con il Jobs act sui licenziamenti collettivi. Il caso, che era stato sollevato dalla Corte d’appello di Napoli, riguarda, nello specifico, il diverso trattamento sui licenziamenti collettivi, dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo 23/2015, che ha introdotto nel nostro ordinamento il cosiddetto contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. La questione posta è quella del differente trattamento nelle vertenze collettive fra chi era in servizio prima della data del 7 marzo del 2015 e chi, viceversa, è stato assunto successivamente a questa data. Il giudizio di incostituzionalità complessivo era stato sollevato dalla Cgil, mentre la Ugl aveva evidenziato delle incongruenze, auspicando un successivo intervento del Parlamento. A distanza di quasi nove anni, la Corte costituzionale ha evidenziato la legittimità costituzionale della norma, sollecitando, però, degli aggiustamenti al testo. Intanto, come accennato, la sentenza ha riaperto delle ferite all’interno del centrosinistra, con Italia viva che ha rivendicato l’operato del 2015, ponendo sul banco degli accusati la Cgil, ma anche lo stesso Partito democratico, ieri guidato da Matteo Renzi e oggi da Elly Schlein, e il Movimento 5 Stelle.