di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

A proposito della polemica sul mondo della cultura come nuovo terreno di conquista della maggioranza, tema molto spinto dai media negli ultimi giorni, dopo la nomina a nuovo direttore del Teatro di Roma – prima commissariato – del regista Luca Fosco, tra l’altro persona dal ricco curriculum e non certo identificabile politicamente, forse l’analisi migliore l’ha fatta oggi il Corriere di Roma. Dicendo, in sintesi, che se il governo ha sentito l’esigenza di nominare tanti volti nuovi alla guida degli enti culturali al posto di quelli vecchi, un solo motivo è possibile: evidentemente chi c’era prima era riconducibile, stavolta sì in modo militante, al mondo della sinistra ed ai partiti dell’attuale minoranza. Se c’è stato un «assalto al fortino» è perché un fortino, rigorosamente di sinistra, allora c’era. Tra l’altro un fortino pubblico e non privato e che, di conseguenza, avrebbe dovuto già essere patrimonio comune, mentre così, invece, non era. E non perché a destra, ovvero tra chi si riconosce in una coalizione che da anni rappresenta la maggioranza della popolazione italiana, o fra gli intellettuali non politicizzati non esistano persone valide ed adatte a ricoprire determinati incarichi. È inimmaginabile che a sinistra abbiano questa presunzione di superiorità. Piuttosto perché si erano volute tenere ben strette le redini del mondo della cultura, della cosiddetta «narrazione dominante», in soldoni della propaganda, in un modo talmente squilibrato da poter alterare il libero confronto delle idee. Una sproporzione intollerabile, che, con buona pace degli «orfani» della gestione precedente, andava sanata. Quello che sta accadendo, quindi, è l’esatto contrario di quanto affermano, con un certo vittimismo, i soliti esponenti della cosiddetta cultura di sinistra: non si tratta di un attacco alla democrazia nell’ambito del mondo delle arti e dello spettacolo, ma di un suo ripristino. Perché era inaccettabile che in quel mondo non potesse avere spazio il modo di vedere e pensare di, almeno e per difetto, un italiano su due. Non solo. Forse si potrebbe anche ipotizzare che avere maggiore pluralismo alla guida del mondo della cultura, con una gestione in grado di rappresentare i vari volti e le diverse sensibilità di cui si compone la società italiana, in modo più variegato e corrispondente alla realtà, potrebbe, in futuro, far avvicinare più persone allo stesso mondo della cultura, finalmente facendo sentire inclusi anche quei tanti cittadini che non si sentivano affatto rappresentati dai vertici che finora l’avevano monopolizzata. Una vera e propria battaglia di democrazia, forse una delle più importanti degli ultimi anni, perché, come sottolineato dal Presidente Mattarella a Pesaro, la vera cultura è allergica al «pensiero unico», quello che in Italia è stato imposto per molti, troppi anni.