di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La questione demografica in Italia è seria e tutt’altro che rassicurante. Una statistica, di cui si parla oggi sul Mattino, lo dimostra in modo eloquente: l’Ue, nell’ormai lontano 2002, aveva indicato come obiettivo il raggiungimento di una soglia di copertura di posti disponibili negli asili nido rispetto alla popolazione con meno di tre anni pari al 33%. Ebbene – con molto ritardo rispetto alla scadenza stabilita, che doveva essere raggiunta nel 2010, ed ora che il «paletto» è stato innalzato al 45% entro il 2030 – finalmente l’Italia sembrerebbe avercela quasi fatta, con una disponibilità media aumentata al 28%, fermo restando il purtroppo noto e significativo divario fra Centro-Nord e Sud. Una buona notizia, che però ne nasconde una cattiva: la media è salita non tanto perché sono aumentati gli asili nido, ma perché nel frattempo sono diminuiti i bambini. Se, infatti, il numero di nuovi nati l’anno fosse rimasto a più di mezzo milione, come era nel 2002, quando vennero fissati questi obiettivi, e non fosse sceso all’attuale quota inferiore ai 400mila, la copertura si sarebbe attestata ad un meno esaltante 22%. Di fronte a questi dati, impossibile non dare ragione alla parlamentare di FdI Lavinia Mennuni, che ha recentemente affermato che la maternità dovrebbe tornare ad essere «cool». Una dichiarazione che ha suscitato le solite polemiche con una sinistra politica e giornalistica ad accusare la maggioranza di voler tornare ad una visione antiquata e casalinga della donna. È vero, invece, che una delle cause della questione denatalità è di tipo culturale, con una narrazione dominante che per troppi anni ha dipinto negativamente famiglia e maternità. Per cambiare la narrazione servono, però, anche delle politiche volte a rendere effettivamente più agevole l’esperienza genitoriale. Il presidente francese Macron, alle prese con lo stesso problema, che accomuna tutto il mondo occidentale, essendo di sinistra e quindi non avendo gli stessi problemi di comunicazione con i mass media, ha usato sul tema parole ben più forti parlando della denatalità come di un «flagello» e di voler procedere verso quello che, senza particolari remore, ha definito un «riarmo demografico». Con una strategia improntata non solo su un cambiamento culturale, però, ma anche su interventi legislativi, annunciando l’introduzione di un nuovo congedo di nascita più consistente, di sei mesi, e rivolto sia alle neo-mamme che ai neo-papà. Anche da noi bisogna rendere concretamente meno penalizzante la genitorialità per invertire la tendenza demografica. Potenziando e modernizzando il welfare, in modo che possa effettivamente sostenere meglio le famiglie, e, nel mondo del lavoro, incentivando le politiche aziendali «family friendly». E, invece, in Italia, il gap retributivo fra uomini e donne è di nuovo in aumento, quasi all’11%, sopratutto fra le lavoratrici madri. Senza considerare poi il fatto che, dopo la maternità, ancora oggi nel nostro Paese una donna su cinque è costretta ad abbandonare il lavoro.