di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La richiesta avanzata da ArcelorMittal di mantenere il controllo condiviso della governance delle acciaierie seppure in una posizione di minoranza, non è accettabile né percorribile soprattutto alla luce delle regole sugli aiuti di Stato. Anche perché, come dichiarato dal ministro Urso, in questi anni «nulla di quello che era stato programmato è stato effettivamente realizzato e nessuno degli impegni presi è stato mantenuto in merito ai livelli occupazionali e al rilancio industriale». Ora c’è bisogno, quindi, di immaginare un futuro per la più grande acciaieria d’Europa, del quale, inevitabilmente, ArcelorMittal non farà più parte. Ma occorre una trattativa finalizzata a raggiungere una soluzione concordata tra Invitalia e la multinazionale indiana per evitare complicazioni legali. Non perdendo di vista gli obiettivi prioritari: mantenere la continuità produttiva, grazie ad nuove emissioni di capitale, come ha assicurato il governo, garantire la tutela ambientale, salvaguardare i livelli occupazionali. Su quest’ultimo fondamentale punto, come ricordato dal segretario di Ugl Metalmeccanici Spera, tutelando tutti i dipendenti, quelli di Taranto come degli altri impianti, e quelli delle aziende dell’indotto. Per l’avvenire dell’ex Ilva l’ipotesi della nazionalizzazione può essere considerata come una necessaria soluzione ponte in vista dell’individuazione di un nuovo partner privato industriale a guidare l’azienda. Ma bisogna, nel frattempo, tratteggiare un piano di sviluppo per tutta la filiera italiana dell’acciaio, che invece negli ultimi anni ha perso colpi, con una produzione da parte del più grande impianto siderurgico d’Italia che si è progressivamente ridotta «lasciando campo libero ad altri attori stranieri che hanno aumentato la loro quota di mercato». La questione ex Ilva rappresenta in questo senso la punta di un iceberg, un caso importante ed estremo che riassume tutte le contraddizioni di un modello di globalizzazione che in Italia è stato realizzato, negli anni passati, a causa di una gestione, anche politica, sbagliata, nel segno della deindustrializzazione, dell’abbandono dei nostri asset strategici e della compressione parallela dei diritti dei lavoratori, mentre cresceva il fenomeno della delocalizzazione e della concorrenza delle produzioni estere, fondata sul dumping sociale, fiscale ed ambientale. Ora il governo Meloni intende «invertire la rotta cambiando equipaggio e delineando un piano siderurgico nazionale costruito su quattro poli complementari attraverso un progressivo rinnovamento, modernizzazione e specializzazione degli impianti esistenti» puntando sulle competenze, sulla produzione di acciai speciali, in particolare a Terni, sulla svolta green, per un’Italia che sia di nuovo capace di imporsi come leader in questo settore. L’auspicio, e l’Ugl al tavolo tra governo e sindacati farà la propria parte in questo senso, è che si possa voltare pagina, trovando delle soluzioni per dare risposte certe ai lavoratori attraverso un nuovo piano industriale che rilanci l’intero comparto, per una stagione di nuovo sviluppo industriale.