L’Editoriale di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Non siamo statalisti né nostalgici dell’era, peraltro non deprecabile, delle aziende di Stato, ma almeno due cose sono certe: a questo punto, solo lo Stato può salvare l’Ex Ilva/Acciaierie d’Italia e l’Italia non può permettersi di perdere l’azienda siderurgica per antonomasia, quella che è stata a suo tempo la più grande d’Europa. Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha assicurato che il governo – e quindi lo Stato – è in campo, «oggi più che mai», per salvare e rilanciare la siderurgia italiana. Si tratta ovviamente di una nazionalizzazione che dovrà avere come obiettivo una proprietà a tempo e mirata a trovare altri investitori.
Ciò accade mentre le opposizioni spostano l’attenzione su falsi problemi, che peraltro esistono da prima che a Palazzo Chigi sedesse il governo Meloni, per non ammettere responsabilità loro ascrivibili sull’andamento e sulla fine alquanto irrispettosa di un rapporto con l’Italia scelta dalla multinazionale franco-indiana. Dopo che Arcelor Mittal, un colosso che fattura 80 miliardi di dollari all’anno grazie ai suoi impianti sparsi in tutto il mondo, ha dimostrato più volte all’Italia di volersi disimpegnare dal suo investimento, l’ultimo atto è stato il rifiuto, espresso ieri, di partecipare all’aumento di capitale sociale dell’Ex Ilva, con un esborso pari a 320 milioni di euro, necessario anche per garantire la continuità produttiva e non gettare in un’altra odissea lavorativa circa 20 mila persone. Così non è stato ed è giusto da parte dell’Italia – o meglio di Invitalia – adire alle vie legali, perché l’indisponibilità di ArcelorMittal a sottoscrivere l’aumento di capitale proposto dal Governo rischia di avere ripercussioni drammatiche per i lavoratori pugliesi, e non solo, e per il futuro della siderurgia nel nostro Paese.
È fondamentale raggiungere un compromesso che punti a salvaguardare i livelli occupazionali, supportare il rilancio dell’intera filiera e garantire la sostenibilità ambientale. La vertenza dell’Ex Ilva è figlia di un fenomeno sempre più evidente, ovvero la crisi di un modello economico fondato sulla globalizzazione dei mercati a discapito dei diritti dei lavoratori.
È prioritario contrastare il dumping fiscale e le delocalizzazioni tutelando le produzioni nazionali e implementando gli investimenti nelle aziende strategiche. In tal senso, occorre mettere in campo delle politiche industriali e infrastrutturali a medio e lungo termine in grado di sostenere la crescita, la competitività delle imprese e la creazione di nuovi posti di lavoro. I processi di transizione energetica e digitale in corso e il fenomeno della deglobalizzazione, ovvero il progressivo rientro della produzione e l’incentivo dei mercati locali, impongono di individuare nuove strategie di sviluppo nella prospettiva di favorire un risorgimento industriale.