di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La “clinica” nella quale l’euro ha visto la luce 25 anni fa (1° gennaio 1999) si trova a Francoforte, Kaiserstrasse, 29, sede dell’Eurotower ovvero della Banca Centrale Europea. Per la precisione, era una fredda mattina del 25 marzo 1998, ricorda in un articolo commemorativo, firmato da Claudio Marroni, “Il Sole 24 Ore”. Le monete e le banconote sono arrivate soltanto nel 2002 e con esse problemi per il nostro Paese, che ancora oggi sta, stiamo scontando.
Ciò va detto non per spirito anti-europeista, ma per rappresentare una voce dissonante, dalla parte di coloro che hanno sentito e sentono ancora il peso di quell’avvento, indubbiamente, epocale. Molti sono stati, infatti, gli articoli celebrativi, sulla scia del messaggio che i vertici europei hanno diffuso in occasione dell’anniversario.
L’euro, alla nascita, diventa valuta, con passaggi graduali, per circa 300 milioni di cittadini europei, ma con effetti difformi sulle singole economie nazionali. L’Italia, insieme a Grecia, Spagna e Portogallo, si trovava non allineata rispetto ai cinque criteri o parametri fissati dal trattato di Maastricht per la realizzazione della fase finale dell’Unione monetaria (Uem): rapporto tra deficit e pil, debito e pil, inflazione, tassi d’interesse e tasso di cambio. Ad ottenere la piena sufficienza, soltanto Germania e Lussemburgo. Da lì, ivi compreso l’aggiungersi degli effetti devastanti della crisi dei mutui subprime iniziata nel 2006 e finita, nominalmente, nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers, nessuno si è del tutto affrancato da quelle disparità.
Per non parlare della perdita di potere d’acquisto degli stipendi italiani; sicuramente non per unica responsabilità dell’euro, ma per una sua determinante influenza. È stato calcolato che ai tempi della lira, nel 1970, ad una coppia per comprare casa servivano dai sette ai nove anni di stipendio, mentre oggi ne servono dai 90 ai 140. Grazie al rapporto Censis-Ugl diffuso in occasione del 1° maggio 2022 è stato certificato che dal 2010 al 2020 le retribuzioni lorde dei lavoratori italiani sono diminuite dell’8,3% reale. Peggio dell’Italia, “guarda caso”, solo Grecia (-16,1% reale) e Spagna (-8,6% reale).
Come sottolineato nel messaggio dei vertici Ue, ora le sfide vanno oltre l’euro, certo. Ma le diseguaglianze in Europa restano un problema e, pur aumentando la ricchezza e migliorando le condizioni di vita, tra i vari paesi e al loro interno, nonché tra le diverse classi socio-economiche, il progresso non è distribuito equamente. E per rendere più accettabile la situazione, non basterà il nuovo conio da collezione (5 euro) che celebra il carciofo romanesco e l’amatriciana. Anzi.