di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Alla fine, come annunciato dal Presidente della Camera, Lorenzo Fontana, il giurì d’onore, chiesto da Giuseppe Conte in merito alle parole pronunciate da Giorgia Meloni e ritenute lesive del suo onore dall’ex premier, si farà e sarà presieduto da Giorgio Mulè. Nonostante il nome altisonante, il «giurì d’onore» non è altro che di una commissione d’inchiesta, prevista dai regolamenti di entrambi i rami del Parlamento. Ha lo scopo di tutelare l’onorabilità di deputati e senatori quando nel dibattito politico ci si scambiano accuse considerate offensive, cercando di appurare se siano fondate o meno. Per chi sarà considerato «colpevole» di aver mistificato i fatti, quindi Meloni, se le accuse non fossero giudicate veritiere oppure, in caso contrario, lo stesso Conte, non è previsto alcun tipo di sanzione, ma al massimo delle scuse. Un istituto poco utilizzato nella storia repubblicana perché se il linguaggio utilizzato nel dibattito parlamentare risulta gravemente offensivo di solito si ricorre ad altre sanzioni più gravi, altrimenti, se i toni aspri rientrano nell’accettabile durezza del confronto politico non accade nulla. Un atto, dunque, dal mero valore simbolico. Eppure forse, dato l’argomento specifico al centro dello scontro, il Mes, stavolta la convocazione del giurì potrebbe avere effetti positivi per l’Italia. A parte pochi, infatti, coincidenti sostanzialmente con gli esponenti dei partiti di centrosinistra, ossia il Pd ed i centristi di Renzi e Calenda, tutti sono concordi nel ritenere inutile, o peggio negativa, l’adesione al Mes da parte dell’Italia. Anche Forza Italia, che, stando alle parole di Tajani, ha delle riserve, non tanto sul meccanismo in sé, ma sulla sua formulazione attuale, carente di controlli che per FI sarebbero necessari «sul nuovo regolamento che allarga la copertura alle banche». Da anni siamo abituati a vedere l’Italia coinvolta, sia a livello internazionale che nazionale, in situazioni sfavorevoli, con un rimpallo di responsabilità su chi sia stato responsabile, fra governi e «governi precedenti», come se alcune decisioni vadano prese al di là della volontà popolare per non chiare ragioni di «ordine superiore» e nessuno voglia, però, intestarsele. Ed il Mes non fa eccezione. Se, infatti, sia FdI che M5s sono contrari al meccanismo, entrambi i partiti infatti hanno votato no in Parlamento, i due leader si accusano reciprocamente di aver dato l’iniziale assenso al Mes. Il governo Conte Due, secondo Meloni, che ha mostrato anche il fax inviato all’allora rappresentante Massari da Luigi Di Maio in cui lo autorizzava a siglare il Mes, tra l’altro il giorno dopo le dimissioni del governo, quando l’Esecutivo era in carica solo per gli affari correnti. Il Governo Berlusconi, nel quale Meloni era ministro per la gioventù, nel 2011, secondo invece lo stesso Conte. Ecco, l’auspicio è che questo giurì d’onore serva a chiarire in modo definitivo la situazione almeno in merito al Mes, a beneficio non tanto dei politici direttamente coinvolti, ma dei cittadini italiani, affinché possano farsi un’idea circostanziata di fatti e responsabilità.