di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Era il 2019, nell’era pre-pandemica, che oggi sembra lontanissima dati i cambiamenti politici, economici e sociali intervenuti in questi anni, quando la Meta Serale denunciava già la presenza di “privati censori”, ovvero magnati dell’industria della comunicazione in grado di decidere, in base alle proprie idee o alle proprie convenienze, il grado di libertà d’espressione nello spazio virtuale. In un’epoca digitale come la nostra, nella quale la rete è diventata la principale piazza pubblica, il web resta di proprietà di poche aziende nelle mani di influenti miliardari. All’epoca il problema – dato il fatto che Facebook, Google, l’allora Twitter e le altre più importanti imprese di nuove tecnologie erano nelle mani di imprenditori rigorosamente dem – riguardava essenzialmente la destra, spesso e volentieri oscurata, con centinaia di profili bloccati, in una campagna “moralizzatrice” che, nell’obiettivo dichiarato di contrastare le “fake news”, aveva di fatto come bersagli la comunicazione al di fuori del circuito mainstream e la parte politica meno gradita ai padroni di internet. Una campagna che trovò l’apice quando venne interdetto in modo permanente l’account Twitter dell’allora presidente statunitense Donald Trump, un fatto senza precedenti. E così, dato che venivano censurati solo profili e siti riconducibili alla destra, più o meno estrema, nessuno a sinistra, fazione che un tempo era per antonomasia per lo Stato e contro il privato, si scandalizzava per il problema, pure evidente ed importante. Ora, con Elon Musk proprietario di X e non solo, anche di satelliti in grado di assicurare la connessione alla rete di intere aree del mondo, anche a sinistra stanno iniziando a porsi il problema dei “privati censori”. Come spesso accade, non per una questione di principio valida per tutti, ma perché il patron di Tesla è un outsider, non schierato in modo militante a destra, ma certamente lontano dalle posizioni dei democratici, come ha anche dimostrato con la sua recente presenza ad Atreju. Ed ecco che allora fioccano articoli d’inchiesta contro i padroni di internet e soprattutto contro Musk, come ad esempio quello di oggi del Corriere della Sera, «Le democrazie appese ai social e satelliti di Musk» di Milena Gabbanelli e Massimo Gaggi, che critica lo strapotere del magnate nel campo della comunicazione. Un potere esercitato anche in caso di conflitti, con i satelliti Starlink in grado di ripristinare la rete dell’Ucraina dopo la distruzione seguita all’invasione russa, ma anche di Gaza a seguito dell’oscuramento delle connessioni palestinesi da parte di Israele. Il tema dei “privati censori” resta un problema dell’età contemporanea, ma andrebbe affrontato in modo serio, senza farsi condizionare dall’appartenenza a questa o quella parte del singolo imprenditore delle comunicazioni e pensando, piuttosto, a soluzioni in grado di ripristinare il primato degli Stati e della politica sull’economia e la gestione o supervisione pubblica, e quindi democratica, di tutte le infrastrutture strategiche, compreso il web, ormai di primaria importanza.