I dati dell’Istat sull’occupazione sono incoraggianti, ma bisogna puntare a migliorare ancora
di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Numeri positivi relativi al mondo del lavoro provenienti dall’Istat: c’è, infatti, un aumento generale dell’occupazione in Italia, pari al +0,1%, ovvero 27mila persone in più che lavorano ad ottobre rispetto al mese precedente. Aumentano gli occupati e diminuiscono gli inattivi di 0,2 punti percentuali. Aumentano anche i disoccupati, dato paradossalmente positivo, perché, se abbinato a quello della diminuzione dell’inattività, significa che ci sono più persone che prima si erano eclissate dal mondo del lavoro e che ora hanno ripreso a cercare attivamente un’occupazione. La crescita occupazionale relativa al mese di ottobre, che si colloca in una tendenza positiva di lungo periodo e riguarda sia donne che uomini, privilegiando i contratti a tempo indeterminato, mentre diminuiscono i dipendenti a termine ed anche i lavoratori autonomi. Questo dato complessivamente molto positivo non deve essere interpretato come un punto d’arrivo, ma deve spronare tutti a compiere uno sforzo ulteriore, per aumentare ancora il numero degli occupati e soprattutto dell’occupazione di qualità, stabile e ben retribuita. Per questo motivo è fondamentale non abbassare la guardia e, invece, implementare gli interventi volti a favorire il ‘matching’ tra domanda e offerta di impiego, a partire dalle nuove misure varate dal Governo come il supporto per la formazione e il lavoro. Il coinvolgimento dei centri per l’impiego, l’orientamento, l’accompagnamento e la riqualificazione professionale sono aspetti prioritari su cui puntare per rafforzare le politiche attive e rilanciare il mercato del lavoro. Occorre ridurre al minimo quella discrepanza fra professionalità e competenze richieste dalle imprese e abilità e titoli attualmente in possesso della forza lavoro italiana, per ottenere risultati utili sia per le aziende che per le persone in cerca di un’occupazione, con benefici conseguenti anche per la collettività, per il sistema economico e produttivo, con maggiore crescita e maggiori consumi, per l’erario, quindi per i servizi, generando, così, un circolo virtuoso di sviluppo. In questo quadro occupano un posto importante, oltre alla formazione, anche altri elementi, come la riduzione del cuneo fiscale, che rafforza il potere d’acquisto dei lavoratori ed il peso delle buste paga, ed anche i provvedimenti finalizzati ad incentivare le assunzioni, rendendole più semplici e meno costose sul lato dei datori di lavoro. Perché benessere ed inclusione sociale passano per una strada obbligata, quella del lavoro.

I numeri
A fornire i dati sull’entità del mismatch ci pensa il Censis, nel suo 57° Rapporto: per l’85,9% degli italiani e l’89,1% degli studenti, la scuola è troppo distante dal mondo del lavoro. Non solo: tra il 2023 e il 2027 alle aziende occorrerebbero nel complesso quasi 1,3 milioni di laureati o diplomati Its, 253mila all’anno, mentre ce ne sono circa 244mila, quasi novemila meno l’anno. Una situazione dovuta anche al calo demografico ed alla costante diminuzione della popolazione giovanile, fenomeno aggravato, poi, dall’abbandono scolastico e dalla presenza di troppi Neet, attualmente il 19% della fascia d’età 15-29 anni.