Per il 62,7% degli italiani il lavoro non è più centrale

Per il 62,7% degli italiani «il lavoro non è più centrale nella vita: il senso che viene attribuito al lavoro discende direttamente dal reddito che se ne ricava. È il segno di un certo distacco rispetto al lavoro come fattore identitario della persona: un punto di vista diverso rispetto al passato, più laico nei confronti di quella “religione del lavoro” che ha orientato scelte e comportamenti di tante persone nei decenni passati». È quanto emerge dal 57° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese. «Il forte rimbalzo dell’economia dopo le restrizioni del 2020, dipendenti dalla pandemia, ha determinato un’espansione della base occupazionale, con una netta riduzione degli inattivi e delle persone in cerca di lavoro. Se nel 2019 il numero delle dimissioni volontarie si attestava poco sopra le 800.000 unità, nel 2022 ha superato il milione, con un incremento significativo: +236.000 ovvero +29,2%». «Il tasso di ricollocazione, che indica il reimpiego entro tre mesi dalle dimissioni, è anch’esso cresciuto, passando dal 63,2% del 2019 al 66,9% del 2022. La motivazione principale che spinge le persone a cercare un nuovo lavoro è l’attesa di un guadagno maggiore (per il 36,2% degli occupati) e l’interesse per prospettive di carriera migliori (36,1%)». Il segretario generale Censis, Giorgio De Rita, durante la presentazione del rapporto al Cnel, ha evidenziato quanto l’anno in corso sia «pieno di contraddizioni», «potremmo dire che questo è un anno in cui le cose sono andate bene, ma se si va a vedere in profondità sono le radici che soffrono, la parte meno visibile della società che sente l’ansia, il soffocamento e la preoccupazione per il futuro».