di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Il Patto di Stabilità e Crescita, ovvero l’accordo tra gli Stati Ue per coordinare le politiche economiche e garantire la stabilità delle finanze pubbliche all’interno dell’Unione, dovrebbe essere progettato in modo tale da sostenere tutti i Paesi membri, anziché metterli in una posizione svantaggiosa. Non dobbiamo dimenticare, infatti, l’ordine di priorità fra mezzo e fine: il mezzo sono le politiche economiche, ma il fine deve essere il benessere dei cittadini e uno sviluppo socialmente sostenibile, quindi capace di ridurre le disuguaglianze sociali e garantire a tutti una vita dignitosa. In questa fase di trattative sul nuovo Psc, l’Italia sta cercando di ottenere condizioni più vantaggiose per il nostro Paese, mentre Francia e soprattutto Germania vorrebbero rendere i paletti ancora più stringenti, con nuove regole in base alle quali gli Stati con un disavanzo elevato dovrebbero riportare il rapporto deficit/Pil entro i prossimi 4-7 anni non più come prima al di sotto del 3%, ma addirittura del 2%. L’Europa nel suo complesso non dovrebbe dimenticare che un Patto utile a tutti e realmente finalizzato allo sviluppo ed alla crescita dovrebbe essere flessibile per consentire agli Stati membri di adottare politiche adeguate alle proprie specifiche circostanze. Senza considerare, poi, il fatto che in periodi di crisi economica, come quello attuale, gli Stati dovrebbero essere in grado dar vita a politiche espansive, per evitare di avvitarsi in una spirale di recessione, a lungo termine dannosa per l’intera Unione. Parola chiave: lungimiranza, perché rispettare a tutti i costi dei limiti auto-imposti dall’Europa sull’Europa stessa – immaginandola ottimisticamente come una vera Unione e non come mediazione tra interessi non solo diversi, ma anche concorrenti, come invece in molti casi sembrerebbe – rischia di essere controproducente, mentre un approccio improntato verso la sostenibilità economica a lungo termine, con la promozione della crescita economica ed il sostegno agli investimenti nei settori chiave, anziché con un’attenzione rivolta esclusivamente sulla riduzione del deficit di bilancio, potrebbe fare la differenza. Nel benessere interno degli Stati europei come nel rapporto fra l’Unione e le altre economie mondiali. L’auspicio è che le osservazioni italiane ed in particolare quelle del nostro ministro Giorgetti vengano accolte dai partner europei. Una curiosità a margine, osservare se la sinistra italiana, almeno in questa partita, starà dalla parte del Paese. Oppure se, come affermato anche dal premier socialista albanese Edi Rama – segno che la cosa è ormai piuttosto evidente – con una battuta sul tema migrazioni, valida però anche per le questioni economiche, per i nostri progressisti «aiutare l’Italia non è di sinistra», a costo di tifare per Germania e Francia. Staremo a vedere.