di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

L’accordo tra la leader del Governo italiano, Giorgia Meloni, ed il suo omologo albanese, Edi Rama, per una collaborazione sul fronte delle migrazioni attraverso la creazione di due centri d’accoglienza in Albania, ha sorpreso un po’ tutti. È stata infatti individuata una soluzione, se non complessiva almeno parziale, a una questione che da decenni, ormai, attanaglia il Paese, ovvero il flusso incontrollato di migranti irregolari provenienti dall’altra sponda del Mediterraneo. L’idea è promettente: si riuscirebbe, con i nuovi centri, a garantire alle persone in mare il doveroso salvataggio, senza però prestare il fianco al ricatto degli scafisti. Dato che, essendo le strutture dislocate in uno Stato extra-Ue, si eviterebbero le abituali fughe dai centri dei migranti economici non aventi diritto all’asilo, per vivere in clandestinità in Italia o nel resto dell’Unione, e si potrebbero, invece, completare le procedure per gli aventi diritto, provvedendo in modo ordinato al rimpatrio degli altri. Un sistema volto, in sintesi, a coniugare assistenza e solidarietà a legalità e sicurezza, grazie alla collaborazione con uno Stato democratico, candidato all’ingresso Ue, nel quale, tra l’altro, attualmente sono al governo i socialisti. Eppure, come sempre, la sinistra italiana rema contro questo accordo e questa possibile soluzione al problema migratorio. Una reazione prevedibile e tutto sommato quasi inevitabile, dato il consueto gioco delle parti che caratterizza la politica, non solo nostrana, in base al quale occorre, di default, criticare le misure messe in atto dall’avversario. Un gioco che, però, dovrebbe essere messo da parte in una democrazia che si ritenga matura, per lasciarsi alle spalle i soliti confronti ideologizzati e propagandistici ed instaurare, finalmente, un dibattito politico più serio e concreto. Stavolta, però, sembra esserci anche qualcos’altro alla base del rifiuto aprioristico nei confronti della strategia messa in atto da Giorgia Meloni con l’accordo italo-albanese, che dovrebbe, parola della Premier, non restare un unicum ma diventare un modello per affrontare in modo diverso il problema migratorio. Sembra quasi che il problema non sia salvare i migranti dalle morti in mare, cosa che verrebbe assicurata, né garantire loro la permanenza in centri dignitosi durante le procedure di identificazione, e ciò, dislocando circa 36mila persone in Albania sarebbe più facile, piuttosto che continuando a stiparle nei centri italiani, sempre al collasso. A giudicare dalle reazioni, sembrerebbe quasi che la questione sia un’altra, ovvero il rifiuto di contrastare l’immigrazione clandestina in quanto tale, una volontà precisa di non ostacolare la permanenza illegale di persone che non fuggono da guerre e oppressione, ma che semplicemente vorrebbero cercare fortuna in Europa senza rispettarne le regole d’ingresso. Una presa di posizione che andrebbe chiarita di fronte ai cittadini ed agli elettori.