Tim, l’ok a Kkr scatena Vivendi. Preoccupazioni per un lungo, estenuante, contenzioso legale e per il destino dei lavoratori

Il Cda di Tim ha detto “sì” alla vendita di NetCo (esclusa Sparkle) al fondo americano Kkr. NetCo è la parte di Tim che contiene tutte le infrastrutture di rete e in quanto tale soggetta a Golden Power (ovvero il potere speciale che il governo può esercitare nei settori strategici al fine di tutelare l’interesse nazionale). Nella governance di Netco, secondo gli accordi pregressi col fondo Usa, entreranno anche lo Stato, con una quota attorno al 20% in capo al ministero delle Finanze, e il fondo d’investimento italiano F2i. Portata economica dell’operazione dai 20 ai 22 miliardi di euro, che aiuterà a ripianare il cospicuo debito di Tim, quantificato in 14 miliardi di euro. Il closing, cioè il perfezionamento dell’operazione, dovrebbe avvenire entro l’estate del 2024. Due sono i problemi in campo. Da una parte, Vivendi, società delle telecomunicazioni e dei mass media francese, che detiene oltre il 25% delle azioni dell’azienda e che ha promesso guerre legali per le mancate comunicazioni in merito all’operazione alle assemblee dei soci. Il cda di Tim effettivamente ha comunicato/confermato l’operazione, in seguito alle indiscrezioni che erano già circolate sulla stampa, rendendo noto che il via libera è arrivato «dopo tre giorni di riunioni» e a maggioranza, con 11 voti favorevoli e 3 contrari. Si tratterebbe di un via libera formale e non «illegittimo», come lo ha definito Vivendi. Dall’altra, con il definitivo scorporo della rete, cioè con la vendita di Nteco a Kkr, viene da chiedersi quale sarà il destino dei lavoratori. Ciò che si deve assolutamente evitare è che il costo dell’operazione, compreso quello di un lungo contenzioso, sia scaricato sui dipendenti.