di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Un organo costituzionale, con rappresentati 64 esponenti delle parti sociali, distribuiti in modo “ponderato”: 22 per i lavoratori dipendenti – noi dell’Ugl ne contiamo uno, il nostro Fiovo Bitti; la Cgil, per chiarire, ne ha sette – 9 per gli autonomi ed i professionisti, 17 per le imprese, 6 per le associazioni di volontariato. Poi gli esperti, dieci, dei quali quasi tutti nominati direttamente dal Presidente della Repubblica, solo due su proposta del Presidente del Consiglio. Un organo, quindi, non certo filo-governativo. Eppure a certa sinistra neanche questo basta per evitare di alimentare le polemiche sulla posizione del Cnel in merito al salario minimo, perché quando le conclusioni altrui non collimano con le loro, piuttosto che cercare di rivedere le proprie posizioni con un minimo di autocritica, si arriva alla delegittimazione. E si arriva a parlare di voti, che non vanno solo contati, ma anche “pesati”, considerando, quindi, il voto di alcuni più importante di quello di altri, per far passare sempre e comunque le proprie proposte, in spregio alla matematica e soprattutto alla democrazia. Un atteggiamento poco costruttivo, che non fa bene alla vita pubblica. Tornando ai fatti, il Cnel ha approvato ieri, solo 15 i voti contrari, le conclusioni della valutazione sul salario minimo come strumento di contrasto al lavoro povero, ovvero quello retribuito in modo inferiore rispetto alla soglia di povertà riconosciuta in Italia. Ritenendo che questa proposta non risolverebbe il problema e che al contrario la prospettiva migliore resta quella di puntare sulla contrattazione, che copre la quasi totalità dei lavoratori italiani. E per gli altri, i lavoratori temporanei o occasionali, i parasubordinati, gli stagisti e i cosiddetti “finti autonomi” la soluzione proposta dal Cnel è di prevedere «l’introduzione di una tariffa tramite contrattazione, agevolata da norme di sostegno». Il Consiglio suggerisce poi di ripristinare il contratto di inserimento, di rilanciare l’apprendistato, e di prestare maggiore attenzione nei confronti del lavoro domestico. Ma anche di procedere a rinnovi rapidi dei Ccnl e, per contrastare i “contratti pirata”, di individuare dei contratti collettivi maggiormente diffusi per settore come riferimento per la redazione di contrattazione di qualità. Insomma, come sostenuto dall’Ugl, anche secondo il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, o almeno per la stragrande maggioranza dei suoi membri, la proposta di un salario minimo legale per tutti è inadeguata rispetto alla situazione italiana, rischiando di contrapporsi, di fatto, alla contrattazione e, aggiungiamo noi, di potersi addirittura rivelare un boomerang, capace di spingere verso il basso stipendi e salari. Una preoccupazione concreta e sensata, di cui la sinistra dovrebbe tenere conto, andando oltre le proposte “bandiera”.