Guerra in Israele, le conseguenze economiche. L’Iran può togliere dal mercato quantità di petrolio per far esplodere i prezzi

La proclamazione dello stato di guerra in Israele, a seguito degli attacchi terroristici di Hamas, ha delle implicazioni, è inutile nasconderlo, oltre che umanitarie, anche economiche e non di poco conto per l’Occidente, in particolare per l’Europa sempre a combattere sulla soglia della recessione. L’incertezza, che già regnava sovrana sui mercati, tanto da spingere le banche centrali Ue e Usa ad alzare il costo del denaro per contrastare l’inflazione e a navigare a vista, cioè a non sbilanciarsi in previsioni economiche di qualsiasi tipo, non potrà fare altro che riacutizzarsi. Sono già in rialzo petrolio, gas e oro; qualsiasi tensione in Medio Oriente ha dei risvolti sui prezzi dei carburanti e quella attuale è di portata straordinaria. I titoli delle aziende aeronautiche e difesa sono cresciuti del +1,8%; i principali listini europei sono sostenuti dal comparto energia, +2,5%. Nel trading in Asia, nella notte, il greggio è già salito fino a 5 dollari in più, a 89 dollari a barile. C’è anche il prezzo del gas naturale in Europa, già entro settembre raddoppiato intorno ai 40 euro a megawattora, il doppio dei livelli ritenuti normali prima della guerra, a rischio di ulteriore rialzo, dato che l’Algeria, Paese al quale l’Italia si è affidata per sostituire le forniture di gas della Russia, ha condannato la reazione israeliana su Gaza e espresso «piena solidarietà per il popolo palestinese». Una iattura umanitaria, un ginepraio geopolitico e economico che sta andando a vantaggio di Putin e della Russia e a tutto svantaggio di un’economia, come quella occidentale e in particolare europea, che “è in guerra” ormai dai tempi del Covid (2020) contro l’impennata dell’inflazione e dei prezzi delle materie prime e dei beni energetici.