di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Se ne parla oggi in un articolo sul Sole 24 Ore e le impressioni messe nero su bianco sul quotidiano sono le stesse avute sin da subito dal nostro sindacato. L’Unione europea ha deciso di intervenire sul tema delle differenze salariali tra uomini e donne, anche alla luce di un differenziale medio fra retribuzioni maschili e femminili del 12,7% nel Vecchio Continente, come attestato dall’Eurostat con dati relativi al 2021. Un numero di tutto rilievo, che non può che spingere ad interventi correttivi. E così, è nata la direttiva UE 2023/970 in materia di trasparenza salariale con l’obiettivo di eliminare le disparità, una norma che dovrà essere recepita dagli Stati membri entro giugno 2026. La direttiva impone ai datori di lavoro, nelle aziende con più di 250 dipendenti, di informare annualmente sulle divergenze salariali, ogni tre anni per quelle tra 250 e 100 dipendenti, nessun obbligo per le imprese con un numero di lavoratori inferiore a 100. In caso di incongruenze non giustificabili, interverranno i rappresentanti dei lavoratori. Buone intenzioni, ma che nella pratica rischiano di non sortire alcun effetto. Spesso, infatti, le differenze sono formalmente giustificabili, dato il fatto che mediamente i lavoratori di sesso maschile sono più disponibili a straordinari e trasferte, con effetti immediati sulla busta paga, a lungo termine sulla progressione di carriera e poi sul tenore di vita al momento del pensionamento. Bisognerebbe intervenire a monte, con maggiori servizi e una più equa distribuzione dei compiti di cura all’interno delle famiglie, ma anche nelle aziende, mediante politiche di conciliazione nell’organizzazione del lavoro. Altri problemi, poi, sorgono ancora prima: al momento di iniziare una carriera professionale, le scelte di uomini e donne sono differenti, anche e soprattutto sulla base delle responsabilità extra-lavorative. Altri ancora già in età giovanissima, con percorsi di studio differenziati e le studentesse meno orientate verso quelle materie “Stem”, che garantiscono un futuro lavorativo più appagante e meglio retribuito. Insomma, la recente direttiva sulla trasparenza, più che uno strumento efficace, sembra un esercizio di retorica, per affermare in linea teorica dei principi certamente condivisibili, ma poco tarati sulla realtà. Restano profonde le lacune su ciò che servirebbe concretamente: un welfare più corposo, pratiche di conciliazione diffuse nelle aziende, un approccio meritocratico nel mondo dell’istruzione, un cambiamento, prima di tutto, culturale. Per ottenere le stesse condizioni tra uomini e donne, a partire dalla scuola, per arrivare poi al mondo del lavoro ed infine al momento del pensionamento. Per rendere possibile una piena realizzazione sia professionale che familiare, senza imporre scelte in ogni caso penalizzanti.