Il part time sui contratti a tempo determinato incide pesantemente sul reddito disponibile
L’Inps certifica il notevole recupero occupazionale che si è registrato nel nostro Paese nel corso del 2022. Il tasso di occupazione è infatti arrivato al 61%, dato che si è raggiunto soprattutto grazie al lavoro dipendente, dove si è registrato un aumento delle assunzioni e una maggiore stabilità lavorativa, al netto di alcune note criticità che permangono (divario territoriale, divario lavoro dipendente-lavoro autonomo, genere, generazionale). Molto interessante il dato relativo agli assicurati Inps: circa il 95% della forza lavoro è conosciuta dall’Istituto. Le persone con almeno un versamento contributivo nel corso del 2022 sono state oltre 26,2 milioni di unità, con una media di giornate lavorate di 43, che hanno generato una raccolta di contributi pari a 236,3 miliardi di euro, in aumento del 9,3% rispetto al 2019 e al 2021. Il lavoro dipendente rappresenta il 78% della platea degli occupati, in crescita di sei punti percentuali rispetto a venti anni fa. Il ricorso al part time è in linea con la media europea, vicino al 18%, ma sale al 30% per le donne e scende all’8% per gli uomini. Il terzo parziale è più utilizzato nel privato (26%) che nel pubblico (7%), ma sale addirittura al 45% fra i contratti a tempo determinato sempre nel privato, dato quest’ultimo che alimenta il fenomeno del lavoro povero. Si parla di working poors per indicare i lavoratori con retribuzione inferiore al 60% del valore mediano. Secondo i dati forniti dall’Inps, appena 28 contratti collettivi sugli oltre 800 depositati assorbono il 78% dei dipendenti. Si tratta di due informazioni che, se interpretate correttamente, gettano nuova luce sulle polemiche relative all’introduzione di un eventuale salario minimo legale su base oraria. Tornando al lavoro autonomo, diminuisce la componente interna, mentre aumentano le partite Iva che arrivano dall’estero. In crescita anche gli iscritti alla gestione separata, soprattutto fra i professionisti privi di cassa ordinistica. Infine, i licenziamenti 2022 sono meno di quelli del 2019.