di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Fra le ipotesi verso una riforma del sistema previdenziale, c’è quella di introdurre con la manovra finanziaria, in vigore, quindi, già dal prossimo anno, la cosiddetta «staffetta generazionale». Una misura che, ricalcando quanto già fatto in altri Paesi, soprattutto nel nord Europa, e specie nell’ambito del pubblico impiego, prevederebbe un avvicendamento graduale fra lavoratori giovani e anziani. Una proposta interessante per molte ragioni. L’idea sarebbe quella di trasformare l’orario di lavoro, da full-time a part-time, per i lavoratori, su base volontaria e una volta superata una determinata soglia anagrafica. In contemporanea, al dipendente anziano, in via di pensionamento, si affiancherebbe un altro lavoratore, giovane e anch’esso a tempo parziale. Da un lato si potrebbe rimandare il momento del pensionamento vero e proprio per gli ultrasessantenni, però con una mole di lavoro e di orario inferiore e quindi anche più gestibile per persone in là con gli anni. Dall’altro lato i giovani inizierebbero ad entrare in occupazioni strutturate, con la prospettiva del full-time. Ci sarebbe poi il lato positivo dell’affiancamento fra lavoratori esperti e nuove leve, importante dal punto di vista della formazione e della trasmissione delle competenze. Una soluzione interessante con buone potenzialità, che consentirebbe di rimandare di qualche anno la pensione per i più anziani senza troppi sacrifici personali e per i giovani di essere introdotti prima e meglio nel mondo del lavoro. Restano delle questioni da risolvere, di carattere, come sempre, economico: necessario, infatti, per attuare questa misura, l’intervento pubblico. Ora, così il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, questa idea, che in passato era stata accantonata per mancanza di coperture, anche dal punto di vista economico sembrerebbe fattibile. Si stanno studiando i dettagli: il dipendente potrebbe, da due o tre anni prima l’età pensionabile – quindi a 64 o 65 anni – ridurre l’orario di lavoro fino a dimezzarlo, con metà stipendio, ma con una pensione ad assegno pieno una volta raggiunti i 67 anni, grazie all’intervento pubblico, quindi evitando le decurtazioni previste in altre formule di flessibilità, da quota 103 ad Opzione donna, mentre le aziende riceverebbero un aiuto dallo Stato per l’assunzione dei giovani da affiancare ai pensionandi, per evitare i costi di due lavoratori a tempo parziale, più alti rispetto a quelli di un lavoratore solo, ma a tempo pieno. Allo studio anche – dato l’impegno economico pubblico alla base di questa possibile novità – l’individuazione dei settori da coinvolgere, se tutti o solo alcuni, e le modalità necessarie a non lasciare indietro le piccole e medie imprese con meno lavoratori e quindi meno possibilità di organizzarsi per aderire a questa misura. Un’iniziativa positiva e da valutare con attenzione.