di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La chiave di volta per trasformare il sistema previdenziale si trova in meccanismi che consentano la massima flessibilità in uscita possibile. Con la prospettiva della tutela dei diritti di coloro che hanno un’età adeguata per ritirarsi dal mondo del lavoro attivo, dopo anni e decenni di servizio, anche per questioni di salute e sicurezza propria e del prossimo, ed anche al fine di un maggiore inserimento delle nuove generazioni in occupazioni solide e strutturate, garantendo il turn-over, per ragioni di equità sociale ed anche di sostegno alla famiglia ed alla demografia – se ne è parlato ieri a Budapest, presenti anche noi dell’Ugl su invito del Presidente ungherese Katalin Novák. La flessibilità in uscita è utile non solo per i lavoratori, ma anche per le imprese, consentendo maggiori margini di manovra per un ringiovanimento del personale. Per tutte queste ragioni, l’Ugl, in merito alla riforma delle pensioni, guarda con interesse all’ipotesi del Governo diretta a incentivare il prepensionamento attraverso la riduzione dell’orario per il lavoratore, che continuerebbe a rimanere dipendente dell’azienda, mantenendo i contributi previdenziali in misura piena, mentre l’Inps si incaricherebbe di versare l’altra parte di stipendio. Una formula, quella della riduzione dell’orario a fine carriera, utilizzata, tra l’altro e da tempo, in vari Stati europei ed utile non solo a fini economici, ma anche per garantire un maggiore coordinamento fra lavoratori anziani e giovani leve, per la formazione ed il passaggio delle consegne in termini di conoscenze ed esperienze. Il meccanismo della flessibilità in uscita, con varie opzioni disponibili per poter andare in pensione prima dei termini previsti dalla legge, in base alle proprie e personali esigenze, accompagnando lavoratori e lavoratrici nel percorso di uscita dal mondo del lavoro, è l’unica soluzione non solo socialmente, ma anche economicamente sostenibile. Occorre, quindi, mantenere e rafforzare strumenti come “l’Ape sociale” e ripristinare “Opzione donna” nel modo più inclusivo possibile. Al momento, in attesa di una complessiva riforma del sistema previdenziale, sembra probabile la proroga di Quota 103, con 41 anni di contributi e 62 anni di età per poter andare in pensione, mentre da questo punto di vista il nostro sindacato come soluzione preferibile è orientato verso Quota 41 per tutti, sommando a questa norma generale gli altri possibili meccanismi di flessibilità, con una visione improntata non su visioni preconcette e schemi passati, come quello dell’austerity a tutti i costi, rivelatisi fallimentari, ma su pilastri essenziali come la salvaguardia del diritto dei lavoratori ad andare in pensione in modo elastico in base alle esigenze personali e di quello dei giovani a trovare lavoro grazie al turn-over, in un’ottica di concretezza e dinamicità.