Sostiene il segretario di Stato Usa al Tesoro, Janet Yellen, che il fattore più destabilizzante per la crescita globale continua ad essere l’aggressione di Mosca contro Kiev che ha portato ad un aumento dei prezzi di cibo e di energia, osservando anche un rallentamento dell’economia a causa della Cina che richiede politiche di aggiustamento e allontanando, allo stesso tempo dal suo Paese, la possibilità di significativi effetti. E l’Europa che intende fare? È una domanda che per tutti noi, che ci occupiamo di lavoro, diventa sempre più pressante alla luce di un dibattito sempre più importante sull’eventuale ripristino o meno del Patto di Stabilità dell’Unione europea, dopo la “sospensione” che si era resa necessaria a causa della crisi economica innescata dalle misure anti-Covid e che, per quel che ci riguarda, non è stata affatto riassorbita, andandosi semmai ad aggiungere alle successive che sono scoppiate.
C’è da preoccuparsi se persino una figura molto prudente e molto europeista come l’ex presidente del Consiglio, Mario Draghi, arriva a sostenere che scivolare nelle vecchie regole fiscali sarebbe il peggior risultato possibile. Draghi è stato chiaro: «Tornare passivamente alle vecchie regole sospese durante la pandemia sarebbe il risultato peggiore possibile». Non solo, come sindacato UGL, la pensiamo allo stesso modo di Draghi, ma lo pensavamo anche prima della pandemia che quelle regole fiscali erano inique e controproducenti per molti Paesi dell’Unione e per una crescita stabile dell’intero vecchio continente. Siamo stati profeti inascoltati e ci auguriamo davvero di non esserlo ancora. In tal senso, ci conforta e troviamo condivisibile la linea del Governo Meloni orientata a una riforma del Patto di stabilità che superi la logica fallimentare dell’austerity e consenta di perseguire politiche espansive volte a favorire la crescita.
La nostra non è né una posizione né una preclusione ideologica, è una visione che si basa sull’osservazione dei dati economici che vengono dalla realtà, non dalla percezione, e che desta molta preoccupazione. Basti pensare all’andamento del Pil nell’eurozona rivisto al ribasso da Eurostat al +0,1% nel II trimestre, che, né più né meno, è la fotografia di un rallentamento dell’economia europea, molto allarmante anche per i possibili riflessi sul versante occupazionale. Così come la frenata della locomotiva tedesca, le preoccupazioni degli investitori per l’economia cinese e la politica monetaria restrittiva della Bce sono tutti campanelli d’allarme che occorre tenere in considerazione, in relazione al non ancora scongiurato e sempre possibile rischio di una nuova recessione.
Se gli Usa intendono lavorare al vertice del G20 per aiutare i Paesi membri ad affrontare molteplici sfide globali, comprese le nuove risorse in quote del Fondo monetario, i vertici Ue pensino ad aiutare, prima di tutto e una volta per tutte, l’Europa.