di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

È difficile al momento stabilire chi tra i due abbia fatto peggio e chi potrà ulteriormente aggravare una situazione già fortemente compromessa da una serie di riforme, varate in passato, sbagliate e incomplete.

Sarebbe in atto una sfida tra l’ex segretario del Pd e attuale segretario di Italia Viva, Matteo Renzi, e l’attuale segretaria dem, Elly Schlein, i quali si stanno confrontando sulla proposta, ritardataria quanto inefficace, sebbene suggestiva come molte “cose di sinistra”, ovvero quella di indire un referendum abrogativo sul Jobs Act. Proposta fortemente voluta dalla Schlein e fortemente contrastata da Renzi, che del Jobs Act è il padre. Schlein e Renzi stanno dividendo, a quanto pare, il centrosinistra. Cosa che onestamente poco importa, sebbene sia del tutto meritata perché il Jobs Act rappresenta l’ultima fatale spallata ad un articolo fondamentale a tutela dei diritti dei lavoratori, quale è stato l’articolo 18 della Legge 300/1970. Tant’è che, insieme alla sua cancellazione, mai troppo condannata, abbiamo assistito ad un’ennesima poderosa iniezione di precarietà nel mercato del lavoro italiano. Al punto tale che abolire oggi il Jobs Act non solo non servirebbe a nulla e creerebbe ulteriore confusione, prima di tutto, nei rapporti tra dipendenti e datori di lavoro, ma implicherebbe, a causa dei molti decreti attuativi emanati per introdurre nel sistema quel decreto legislativo, la proposizione di più di un quesito referendario. Si tratterebbe, quindi, di un’operazione molto complessa che, ad oggi, è utile soltanto a far parlare e a dare un po’ di (apparente) smalto ad un partito in cerca di autore, il quale, proprio a causa del Jobs Act perse – e quindi meritatamente – una parte molto rilevante della sua anima di sinistra.

Lo scontro tra Renzi e Schlein ha un sapore, al momento, meramente mediatico. Ben pochi sarebbero i riverberi che sarebbe ad oggi in grado di produrre nel mercato del lavoro italiano, caratterizzato anche dal lavoro povero. Che il centro sinistra vorrebbe combattere con un altro errore ovvero l’introduzione per legge della falsa soluzione rappresentata dal salario minimo. Una falsa soluzione che potrebbe livellare molti interessi dei lavoratori verso il basso e destituire di significato un altro strumento di tutela del lavoro, la contrattazione collettiva. La sinistra o quel che resta di essa sta cercando di mettere una toppa peggiore del buco, dallo stesso creato, al solo scopo di emendare decenni di errori.

Andare indietro, invece che avanti, è un lusso che l’Italia e il lavoro italiano non possono permettersi.