di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

I porti italiani costituiscono un importante asset infrastrutturale per il nostro Paese ed andrebbero potenziati con adeguati mezzi di collegamento via terra; questo tema negli ultimi giorni è stato importante nel dibattito politico. Si è parlato, infatti, della questione della privatizzazione dei porti, una prospettiva che non può che vedere il nostro sindacato molto dubbioso, da un punto di vista ideale, dato che ad avviso dell’Ugl è fondamentale tutelare le infrastrutture strategiche, per ragioni economiche e soprattutto di sicurezza nazionale, ma anche da un punto di vista strettamente pratico, considerando le esperienze fallimentari del passato riguardanti altri Stati. Bene ha detto il presidente della Regione Sicilia, Schifani, che «se si guarda all’Europa circa la privatizzazione delle infrastrutture strategiche, il precedente greco, ci dimostra che la decisione della Troika di cedere la proprietà del principale porto nazionale, il Pireo, ai cinesi di Cosco, quale contropartita per sostenere, con prestiti onerosi, la crisi di credibilità del debito sovrano ellenico, ha rappresentato per la Grecia e per la stessa Europa un grave errore grammaticale di geopolitica». Inoltre, da allora, molte cose sono cambiate e se già all’epoca quella decisione sembrava azzardata e controproducente, osservandola a posteriori, nel contesto attuale di incertezza geopolitica, si è rivelata ancora più inopportuna. Così anche il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Salvini, ha chiarito che la privatizzazione dei porti «non è nell’agenda di governo» dato «il rischio, non remoto, di trovarsi qualche altro Stato sovrano, magari disallineato rispetto alle strategie nazionali, al comando delle infrastrutture marittime del Paese». Specie dato il fatto che l’Italia è un Paese importatore di materie prime, come ha ricordato anche lo stesso Salvini, quindi cedere la sovranità dei porti significherebbe anche consegnare a privati, anche stranieri, il futuro della nostra industria manifatturiera, la seconda d’Europa. L’auspicio è che questi concetti, che sembrano condivisi dal governo attualmente in carica, siano metabolizzati e considerati un punto fermo trasversale ed indipendente rispetto all’alternanza politica ed all’avvicendarsi delle maggioranze alla guida del Paese. Ne va del nostro benessere e della nostra sicurezza. Altro discorso, invece, quello di rilanciare i nostri porti, renderli più efficienti e meglio collegati e la possibilità di trasformare la governance dei porti stessi, come avvenuto per Poste e Ferrovie, trasformando il sistema portuale in S.p.A. Una scelta meno rischiosa, ma comunque da valutare con la massima serietà e lungimiranza, per fare in modo che i possibili vantaggi economici siano strettamente connessi alla salvaguardia, prioritaria, della sicurezza nazionale.