Le norme valgono anche per i cittadini stranieri che svolgono la loro prestazione in Italia

Nel momento in cui tornano ad alzarsi le temperature, l’Agenzia delle entrate, con una circolare appena pubblicata, la numero 25/2023, interviene sullo smart working. Il lavoro agile, dopo aver svolto una funzione centrale nel contenimento della diffusione del Covid-19, è visto da molti come ipotesi percorribile anche in un’ottica di limitazione dell’esposizione agli eventi atmosferici estremi. L’Agenzia delle entrate, in particolare, è intervenuta su un aspetto non secondario, che interessa pure molti lavoratori stranieri presenti nel nostro Paese, vale a dire lo svolgimento di prestazioni di lavoro agile all’estero. Il discrimine, secondo l’Agenzia, è nella durata della prestazione. La persona fisica acquisisce la residenza fiscale, e, quindi, l’obbligo di pagare tasse e imposte varie, se svolge la sua prestazione lavorativa in una località estera diversa rispetto alla residenza abituale per la maggior parte del periodo di imposta. La soglia è fissata a 183 giorni (184, negli anni bisestili). Il principio si applica agli italiani che lavorano in smart working all’estero, ma anche a cittadini stranieri che hanno scelto il nostro Paese per lavorare da remoto per una azienda con sede in altro Stato. L’Agenzia aggiunge che non conta il fatto che la prestazione lavorativa abbia o non abbia delle ricadute sul Paese ospitante, perché ciò che vale è la semplice residenza fiscale.