I dati sconfortanti sul futuro previdenziale delle nuove generazioni in un’indagine del Consiglio nazionale dei giovani
di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Una ricerca realizzata dal Consiglio nazionale giovani in collaborazione con Eures sulla «Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani» fornisce dati ben poco rassicuranti sulla previdenza che dovrebbe aspettare le generazioni che ora si affacciano nel mondo del lavoro quando dovranno ritirarsi al termine della propria esperienza professionale. Il calcolo è chiaro: per avere un assegno superiore ai mille euro al mese, dovranno lavorare oltre i settant’anni, 74 per avere una pensione di 1.099 euro, e in caso di un’uscita dal mondo del lavoro precedente a questa età, decisamente avanzata, l’importo sarà ancora più basso. Un problema significativo, che adesso sembra lontano, ma che, senza cambiamenti significativi, è destinato a verificarsi ed a determinare conseguenze importanti dal punto di vista economico e sociale. Le ragioni di questa situazione, che nasce oggi, che ha le sue radici in ciò che adesso il mondo del lavoro offre ai giovani, sono da trovare sostanzialmente in due fattori: da un lato il passaggio al sistema di calcolo delle pensioni interamente contributivo, dall’altro professioni precarie e poco retribuite per i giovani. «Nel 2021 i lavoratori under 25 hanno ricevuto in media 8.824 euro, il 40% della retribuzione media complessiva, mentre i lavoratori tra i 25 e i 34 anni hanno ricevuto in media 17.076 euro, il 78% della retribuzione media. Per di più, uno scarto retributivo consistente si manifesta tra le donne e gli uomini giovani lavoratori, con un divario che si amplia nel tempo», questa la realtà fotografata dalla ricerca. Riemerge il problema principale da risolvere: offrire, adesso, ai ragazzi ed ai giovani adulti un lavoro adeguato per fare in modo che possano iniziare a costruirsi un bagaglio contributivo adeguato. Se è stato importante il taglio del cuneo sul lavoro dipendente per rendere più corposi stipendi e salari, occorre anche rendere meno oneroso assumere per le imprese, per aumentare l’occupazione, specie quella di qualità. E poi puntare sul turnover cambiando radicalmente l’impostazione degli anni passati, quando si pensava solo a rimandare il problema trattenendo il più possibile le persone al lavoro dimenticando le generazioni future. Infine una formazione adeguata, nelle materie più richieste dalle aziende, quelle cosiddette STEM, per i giovani, di entrambi i sessi. Perché anche in questo caso il problema coinvolge anche e soprattutto la componente femminile, da sostenere con maggiori e migliori pratiche di conciliazione.

Ultimi in Europa
Secondo la ricerca di Consiglio Nazionale dei Giovani ed Eures, i giovani italiani entrati nel mondo del lavoro nel 2020 a 22 anni potranno andare in pensione a 71 anni, il dato più alto tra i principali paesi europei, 9 anni in più rispetto alla generazione precedente. Lo scarto cala negli altri Stati Ue, dove la media è 1,7 anni in più. In Svezia, Austria e Spagna non ci saranno differenze nell’età pensionabile tra chi è nato nel 2000 e chi nel 1950.