di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

La decisione di tassare gli extraprofitti delle banche è giunta piuttosto inaspettata, dato che si era parlato poco della questione, sia da parte del governo che dell’opposizione, quantomeno a livello di comunicazione mediatica. Negli ultimi mesi, a seguito delle politiche antinflazionistiche della Bce, come ben sanno i cittadini alle prese con mutui e prestiti, il costo del denaro è aumentato di 425 punti base in un anno. La conseguenza per i clienti degli istituti di credito è stata quella di un aumento delle rate, in caso di tasso variabile, con punte anche di oltre il 70%, mettendo in difficoltà famiglie e imprese, mentre alle banche le scelte di Lagarde, per altro in molte occasioni criticate dallo stesso governo e da altri attori politici e sociali, come anche il nostro sindacato, hanno generato lauti guadagni. Certo questo non significa che le banche debbano essere “punite”, e altrettanto certamente non vanno sottovalutati, ma invece ridimensionati i possibili effetti negativi di questa misura, sulle borse, come abbiamo visto ieri, come sull’acquisto di titoli di Stato da parte delle banche stesse. Tuttavia questa decisione, questo contributo richiesto agli istituti di credito, nel complesso, sembra andare in una direzione giusta, in senso comunitario e ridistributivo, in una visione di destra sociale. I proventi, stimati tra i due e i quattro miliardi di euro, andranno infatti ad aiutare le fasce di popolazione più in difficoltà, a sostenere le famiglie per il pagamento del mutuo sulla prima casa e ad alimentare il fondo taglia tasse in vista della riduzione dell’Irpef; forse la norma potrebbe, nel passaggio parlamentare, anche estendere la soglia di reddito necessaria per chiedere alla banca il passaggio da variabile a fisso. Una «norma di equità sociale», come l’ha definita il ministro Salvini, che ricalca misure simili adottate da Spagna e Ungheria. Non solo: l’aumento dei tassi, oltre ad aver avuto effetti negativi per i titolari di prestiti, ha anche provocato una contrazione della richiesta dei mutui, secondo il Sole 24 Ore pari al 22,4% nei primi sei mesi 2023, mentre la contrazione dei prestiti è stata del 21,6%. In una prospettiva ampia, quindi, l’aumento del costo del denaro sta avendo effetti non solo sulle famiglie, ma anche sul mercato, quello immobiliare ad esempio, e sulle imprese, meno intenzionate ad investire a causa dell’alto costo del denaro. Con questa mossa si tenta, quindi, anche di riequilibrare il rapporto tra finanza ed economia reale. Senza dimenticare, poi, che questo contributo, per quanto oneroso, richiesto alle banche, considerandole parte di un sistema interconnesso nell’ambito della comunità nazionale, fa da contraltare alle tante altre occasioni in cui la legge ha disposto misure favorevoli alle banche stesse, come le norme su Pos e uso dei contanti, che hanno imposto ai cittadini di usufruire dei servizi – a pagamento – delle banche stesse.