di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

Piuttosto che soffiare sul fuoco del disagio, per cercare di risolvere la questione dell’occupazione e dell’inclusione delle categorie più fragili è necessario un approccio concreto ed una strategia lungimirante, che abbia come obiettivo la crescita economico-sociale della collettività nel suo complesso. Il governo di centrodestra aveva chiarito da prima della sua elezione la propria posizione ed ora la sta mettendo in atto, trasformando il vecchio Reddito di Cittadinanza, varato all’epoca del governo “gialloblu” – che era stato profondamente avversato dalla sinistra – ed impostando politiche nuove, fondate sul concetto, espresso fra gli altri dal ministro Giorgetti, che «chi può deve lavorare». Ora questa linea politica si sta traducendo in pratica, come previsto, con la sospensione del sussidio ai cittadini non più considerati aventi diritto, che, per avere un aiuto dallo Stato potranno richiedere il Sostegno alla Formazione, pari a 350 euro al mese a persona e quindi anche con la possibilità che più individui dello stesso nucleo familiare possano accedere alla misura, il tutto, però, solo se avvieranno un percorso di formazione professionale. Alla base del problema che ci troviamo ad affrontare oggi ci sono due questioni riguardanti la vecchia formulazione del RdC che non sono state risolte negli anni passati. Da un lato la necessaria distinzione fra politiche di assistenza e politiche del lavoro: sarebbe stato preferibile separare sin da subito le misure per gli impossibilitati a lavorare da quelle in favore delle persone temporaneamente estromesse dal mercato del lavoro. Dall’altro lato la mancata realizzazione di quel secondo pilastro che pure era parte fondamentale dell’impostazione iniziale di questa misura al tempo del Conte Uno, ovvero la connessione stringente, per le persone in grado di lavorare, fra sussidio, formazione, ricerca ed accettazione delle proposte di lavoro. Questa seconda parte era essenziale, ma poi non è stata tradotta in fatti concreti ed il sussidio si è trasformato in uno strumento meramente assistenziale per tutti, comportando anche delle distorsioni nel mondo del lavoro. Adesso l’auspicio è che le cose cambino e che siano attivate al più presto delle soluzioni efficaci per fare in modo che si punti su formazione ed inclusione lavorativa, colmando il mismatch fra domanda e offerta di lavoro, per integrare quante più persone possibili nel mondo produttivo, a beneficio loro e della società nel suo complesso. Perché la questione, in fondo, è di natura strettamente politica e di visione del futuro. Ovvero fare in modo, certo con i necessari aiuti per i bisognosi e gli altrettanto doverosi investimenti nella formazione, di diffondere non solo maggiore e migliore occupazione, ma anche rinforzare il principio, costituzionale, in base al quale il lavoro oltre ad essere uno strumento finalizzato al reddito è un elemento di inclusione e un modo per contribuire attivamente al benessere della comunità. Non un fatto solo individuale, ma anche sociale.