di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

È arrivata finalmente la liberazione di Patrick Zaki, ricercatore egiziano in carcere da anni nel suo Paese per attività politiche e di controinformazione. Il giorno dopo la condanna definitiva a tre anni di reclusione avvenuta lo scorso 18 luglio, che avrebbe comportato per Zaki un ulteriore anno e più di detenzione dopo quella già scontata, c’è stato l’annuncio inaspettato della grazia nei suoi confronti concessa dal presidente Al-Sisi e il giovane è stato scarcerato. Questi i fatti, particolarmente sentiti dalla nostra opinione pubblica, nonostante si trattasse di una vicenda tutta egiziana, perché come noto Zaki ha frequentato a lungo l’Italia, studiando e laureandosi all’Università di Bologna. E per questo la sua detenzione aveva suscitato un particolare interesse e mobilitazioni in suo favore anche qui da noi. È innegabile che i rapporti politici tra Italia ed Egitto abbiano giocato un ruolo importante per arrivare a questo “lieto fine”. Un successo del governo in carica, dove altri prima avevano fallito. Eppure nel nostro Paese la liberazione di Zaki, prima caldeggiata con manifestazioni e appelli, non è stata accolta dai media con l’entusiasmo che ci si sarebbe aspettati, in particolare da quelli più schierati politicamente con le opposizioni e che pure erano, o sembravano, in prima linea su questo caso. Neanche il tempo di dare la notizia e senza nemmeno aspettare l’arrivo del giovane in Italia, sua Patria d’elezione, cosa che dovrebbe avvenire a breve, che già la stampa aveva iniziato a dipingere questa faccenda con toni foschi. Un fatto che ha dell’incredibile. Arrivando ad ipotizzare una sorta di “scambio” fra Italia ed Egitto, in una ricostruzione priva di qualsiasi riscontro oggettivo – a parti alterne si sarebbe tranquillamente parlato di complottismo – ovvero la liberazione di Zaki in cambio del silenzio sul caso Regeni, il ricercatore italiano torturato ed ucciso in Egitto nel 2016. Da una parte le illazioni, dall’altra la realtà: Regeni subì la sua tragica sorte ai tempi del governo Renzi e nessuno degli Esecutivi – in buona parte di sinistra – che si sono susseguiti da allora alla guida del Paese ha ottenuto dal Cairo risposte soddisfacenti. Dare qualche chance a quello a guida Meloni non sembra così inopportuno, dati i risultati raggiunti finora. Zaki, invece, è stato arrestato la prima volta nel febbraio del ‘20, quando a Palazzo Chigi c’era Conte nella versione “giallo-rossa” e mai nessuno finora era riuscito ad ottenerne la liberazione. Però adesso, invece di festeggiare le “vittorie” italiane nel delicato gioco delle relazioni internazionali, la stampa nostrana preferisce gettare ombre. C’è un problema di comunicazione importante: media troppo schierati, con allusioni prive di riscontri anche in momenti positivi, anche a costo di andare contro l’interesse nazionale.