di Francesco Paolo Capone, Segretario Generale Ugl

L’assistenzialismo in Italia è duro a morire. Molti quotidiani di sinistra oggi hanno scelto di sostenere la battaglia del Pd e brandire come una clava la legge sul salario minimo per denunciare che l’iter del decreto verrà affossato, molto probabilmente sempre oggi, da un emendamento di un solo articolo che la maggioranza ha presentato alla Camera in Commissione Lavoro con il fine di sopprimere la proposta della minoranza, con l’eccezione di Iv, di istituire un salario minimo orario per legge pari a 9 euro. Se ne sta facendo una questione di principio, come se, sopprimere la norma, fosse un delitto; come se si volesse voltare le spalle “ancora una volta”, dopo il Reddito di Cittadinanza, ai poveri; come se non fosse un diritto della maggioranza al governo di fare scelte che rispecchino la propria visione dell’economia e della società. Non è un delitto anche per altre ragioni, tutte di buon senso. Sicuramente è più facile fissare un salario minimo per legge, e lavare così la coscienza di coloro che non hanno fatto prima nulla in merito, quando cioè avevano la possibilità di farlo (o forse non l’avevano neanche quando erano al Governo), piuttosto che creare vere condizioni di lavoro, porre le basi per un’occupazione e per salari qualitativamente consistenti. Si preferiscono scorciatoie, senza curarsi del fatto che la condizione di milioni di lavoratrici e di lavoratori verrà sempre più a livellarsi verso il basso. Anche a fronte di dati che dimostrano l’inutilità del salario minimo orario per legge. Come quelli di Unimpresa, secondo i quali in Italia i minimi retributivi sono garantiti da un sistema vasto e capillare di contrattazione collettiva, che, a fine 2022, vede 946 contratti collettivi nazionali di lavoro depositati al Cnel e copre, su un totale di circa 13,2 milioni di lavoratori dipendenti privati, 12,8 milioni di persone ovvero il 97% degli addetti. L’81% di questi ha un ccnl con un salario di ingresso superiore a 9 euro, il 18% tra gli 8 e i 9 euro, mentre solo l’1% dei lavoratori ha un contratto che stabilisce una paga oraria sotto quota 8 euro. Mentre per la Svimez, nel nostro Paese ci sono circa 3 milioni di lavoratori che percepiscono una retribuzione oraria inferiore ai 9 euro lordi, dato pari al 17,2% del totale dei lavoratori dipendenti (esclusa la PA). Di questi circa 1 milione è nel Sud (25,1% dei dipendenti) e circa 2 milioni nel Centro-Nord (15,9% dei dipendenti).Al di là delle percentuali, più o meno corrispondenti, per migliorare la qualità del lavoro e degli stipendi, tanto più che ce lo impongono la transizione ecologica e tecnologica in atto. Noi dell’Ugl continueremo a chiedere più contrattazione collettiva, più formazione, insieme a un taglio del cuneo fiscale strutturale.