Mentre nel Regno Unito i salari continuano a crescere a livelli record, visto che, al netto dei bonus, sono aumentati del 7,3% da marzo a maggio, oggi l’Ocse nell’Outlook 2023 certifica che i «salari reali», a causa dell’impennata dell’inflazione, stanno diminuendo in «modo significativo» in quasi tutti i Paesi Ocse (-3,8%), nonostante la ripresa della crescita dei salari “nominali”. Una delle peggiori performance in tema è quella dell’Italia che, tra le principali economie Ocse, è quella che registra il calo più forte con una discesa, già vissuta nel 2022 e pari al 7%, che è continuata nel primo trimestre 2023 pari a al -7,5% su base annua. Secondo l’Ocse si tratta di un calo «particolarmente significativo» se si considera che, a differenza di altri Paesi, la contrattazione collettiva copre, quasi, tutti i lavoratori dipendenti. I paladini del salario minimo si sono fermati a quanto detto fin qui dall’Ocse per riaffermare la “giustezza” della loro battaglia. Ma in realtà l’Ocse ha aggiunto anche altro e cioè che «i significativi ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi», poiché più del 50% dei lavoratori è coperto da un contratto scaduto da oltre due anni, rischiano di prolungare la perdita di potere d’acquisto per molti lavoratori. Anche se, sempre secondo l’Ocse, tra le «diverse leve» che possono essere attivate il mezzo più diretto per aiutare i lavoratori è quello di «aumentare i loro salari», utilizzando anche il salario minimo legale, «fissato dallo Stato», è altrettanto vero che le retribuzioni negoziate nell’ambito dei contratti collettivi sono diminuite, in termini reali, «a causa del ritardo legato alla natura scaglionata e relativamente poco frequente delle trattative salariali». Ricordiamo che, a contribuire in tal senso, fu per primo lo Stato, il quale, quasi per un ventennio, ha bloccato il rinnovo dei contratti pubblici, autorizzando implicitamente i datori di lavoro privati a ritardare i rinnovi contrattuali e, grazie al basso tasso di inflazione, a farlo con stretti margini economici. L’erosione dei salari, a cui stiamo assistendo oggi, è ancora figlia di quei comportamenti, oltre che dell’alta inflazione, alla luce del fatto che, come certificato dall’Ocse, ben il 50% dei lavoratori ha un contratto scaduto da oltre due anni.
Non siamo disponibili ad una perdita di senso di uno degli strumenti più importanti e più sofisticati, sia da un punto di vista economico sia giuridico nonché di welfare, su cui lavoratrici e lavoratori e imprese possono ancora oggi contare, cioè la contrattazione collettiva, per consentire ad alcuni di poter dire di aver ottenuto ciò che per loro, e soltanto per loro, sarebbe un positivo risultato politico e cioè una legge calata dall’alto, appunto sul salario minimo orario, che livellerebbe verso il basso non solo i salari ma anche tutti i diritti e le prerogative faticosamente acquisite nei contratti di lavoro collettivi.