In Francia è trascorsa una notte di relativa calma dopo quasi una settimana di feroci proteste. La questione su cui è concentrata adesso l’attenzione dell’opinione pubblica, non solo francese, è l’esito “inaspettato” delle due raccolte fondi: una istituita dalla famiglia dell’agente della polizia francese, che a Nanterre ha sparato al diciassettenne Nahel M, uccidendolo e dando il via alle proteste, e l’altra organizzata a sostegno della famiglia di Nahel. Entrambe con un rispettivo e dichiarato sostegno politico, di “colore” diverso. La prima, ad oggi, ha raggiunto la cifra record di 1 milione di euro, cinque volte di più della raccolta fondi istituita a favore della famiglia del ragazzo ucciso. Secondo alcune fonti, le donazioni arrivate al poliziotto sono state oltre 58 mila, con la più ingente pari a 3 mila euro e molte fino a più di mille euro. Nonostante le accuse di razzismo, provenienti perfino dall’Onu, nei confronti della polizia francese, il messaggio che è arrivato più forte, più forte della morte di un ragazzo senza patente non fermatosi al posto di blocco, è stato il bilancio ancora provvisorio di quasi una settimana di rivolta: danni e scontri in almeno 220 comuni francesi, più di 200 negozi totalmente svaligiati, circa 300 filiali di banche distrutte, 250 tabaccai devastati, circa cinquemila tra automobili e camion dati alle fiamme insieme a centinaia di commissariati della polizia e caserme della gendarmerie. Per non parlare dei danni materiali incalcolabili a mezzi di trasporto, pensiline, uffici ed edifici pubblici.
Alcuni commentatori si sono sbilanciati a sostenere, semplificando, che non si era mai visto un sostegno pubblico maggiore al carnefice che alla vittima. Forse le vittime sono almeno due o non soltanto Nahel: l’altra vittima è la sicurezza di tutti i cittadini francesi. Ciò che non paga è la protesta portata avanti con cieca devastazione, è sobillare la rivolta. Così come ha fatto, il leader della sinistra radicale, Jean-Luc Mélenchon, di France Insoumise (Francia indomita), che più di chiunque altro politico ha soffiato sul fuoco della rivolta: «Non faccio appello alla calma, ma faccio appello alla giustizia. Sono i poliziotti che devono calmarsi, sono loro che hanno ucciso quest’uomo», ha detto senza girarci intorno.
All’integrazione fallita, all’intolleranza (esistente, evidentemente, non in una sola parte politica e sociale), alla necessità di una vera o diversa identità, si è intrecciato un altro tema che è quello, esistente anche in altri Stati europei, della presenza e del rapporto con le istituzioni. Una visione in Francia evidentemente polarizzata e rappresentata “plasticamente” dall’esito delle due “collette”. È intorno alla maggiore o minore presenza delle istituzioni, alla loro più o meno sentita credibilità, che ci si dovrebbe interrogare e con cui si riuscirebbe meglio a spiegare (e ad accettare?) l’avanzata politica delle destre.

di Francesco Paolo CaponeSegretario Generale Ugl